Addio al ‘sergente’ Mihajlovic

Il tecnico serbo aveva 53 anni. Nella stagione 2009/2010 è stato alla guida del Catania, suo lo storico 3-1 all'Inter di Mourinho. Il club rossazzurro: "Grazie Sinisa, abbiamo vissuto momenti epici"

Sinisa Mihajlovic è morto. La famiglia Mihahjlovic ha diramato un comunicato nel quale annuncia la scomparsa del tecnico serbo, 53 anni, definendo la sua morte “ingiusta e prematura”. “La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic. Uomo unico professionista straordinario, disponibile e buono con tutti – prosegue il comunicato della famiglia Mihajlovic -. Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia. Ringraziamo i medici e le infermiere che lo hanno seguito in questi anni, con amore e rispetto, in particolare la dottoressa Francesca Bonifazi, il dottor Antonio Curti, il prof. Alessndro Rambaldi e il dott. Luca Marchetti. Sinisa resterà sempre con noi. Vivo con tutto l’amore che ci ha regalato”.

La leucemia dunque alla fine ha avuto la meglio su Mihajlovic, strappandolo ai suoi cari dopo tre anni di lotta e sofferenza durante i quali il tecnico serbo non ha rinunciato al suo lavoro cercando di ricacciare indietro con la sua grande passione l’ombra che si allungava su di lui. Era stato lo stesso Mihajlovic, nel luglio 2019, a dare la notizia di aver contratto la malattia. Voleva prenderla di petto, nel suo stile diretto, incapace di nascondersi, che si trattasse di difendere l’adorata Serbia o un compagno di squadra. “Io non gioco mai per non perdere, nel calcio come nella vita. Sconfiggerò il male – aveva detto l’allora tecnico del Bologna – e lo farò per mia moglie, per la mia famiglia, per chi mi vuole bene”. A 53 anni – dopo alti e bassi, speranze di guarigione e ricadute – si è dovuto arrendere, lasciando un vuoto in quanti lo hanno apprezzato come centrocampista e difensore di tante squadre – dalla Stella Rossa di Belgrado all’Inter – e poi sulle panchine di vari club italiani: la stessa Inter, Catania, Fiorentina, Milan, Torino, Sampdoria.

A Catania Mihajlovic arriva nel dicembre 2009, chiamato in panchina per sostituire Atzori e risollevare una squadra ancorata all’ultimo posto in classifica. All’esordio è subito sconfitta interna contro il Livorno, ma nella partita successiva dà il via a un’incredibile rimonta: 2-1 sul campo della Juventus con gol decisivo di Izco. Il tecnico serbo costruisce una squadra forte, solida, convinta dei suoi mezzi. A tal punto da riuscire a vincere al Massimino contro l’Inter di Mourinho per 3-1 con le reti di Lopez, il cucchiaio di Mascara e il gol meraviglia di Martinez. A fine stagione i rossazzurri conquistano la salvezza anticipata e si piazzano al tredicesimo posto con 45 punti totali, 36 sono tutti di Mihajlovic.

Anche il Catania SSD ha voluto ricordare così l’allenatore scomparso: “Siniša Mihajlović non è più con noi ma sarà sempre in noi, che ameremo ancora e per tutto il tempo del ricordo e della vita il suo esempio di smisurato coraggio, profonda umanità, sano entusiasmo, puro amore per il calcio. Giunse a Catania nel dicembre 2009, a lui si chiedeva un’impresa: risollevare le sorti dell’ultima in classifica, della più seria candidata alla retrocessione. E fu “Miracolovic”: salvezza anticipata ed esaltanti vittorie, sul campo della Juventus e all’Olimpico contro la Lazio, poi il 12 marzo 2010 in rimonta sotto la pioggia contro l’Inter del Triplete e nel derby col Palermo. Il suo carisma era la prima forza di quel Catania. Catania ti amerà ancora, mister, e noi ti ringrazieremo sempre per aver vissuto momenti epici. Catania SSD porge sincere condoglianze alla famiglia Mihajlović e rende noto di aver richiesto l’autorizzazione ad apporre il lutto al braccio sulle maglie dei calciatori della prima squadra e ad osservare un minuto di raccoglimento prima del fischio d’inizio di Catania-Trapani, per ricordare un grande uomo e allenatore nello stadio in cui è stato protagonista”.

Nato a Vukovar, madre croata e padre serbo, Sinisa dopo aver vissuto gli orrori della guerra etnica si mette in luce con la Stella Rossa, vincendo la Coppa dei campioni a 22 anni. Attira l’attenzione con il suo potente sinistro, micidiale nei calci piazzati (28 le reti realizzate solo in serie A). Portato in Italia dalla Roma nel 1992, due anni dopo passa alla Sampdoria, dove diventa il pupillo del tecnico Sven Goran Eriksson che lo valorizza schierandolo al centro della difesa. Nel 1995 conosce la donna della sua vita, Arianna Rapaccioni, che sposa l’anno dopo e più di chiunque altro gli è stata vicina durante la battaglia contro la malattia. Dalla loro unione sono nati sei figli. A giugno 2021 avevano festeggiato le nozze d’argento dicendosi nuovamente sì, con una romantica cerimonia a Porto Cervo.

Nel 1998 si trasferisce alla Lazio. Sono gli anni dell’ultimo conflitto balcanico e quando la Nato bombarda Belgrado, con gli aerei che partono dalle basi in Italia, Mihajlovic non nasconde l’orgoglio di essere serbo. Come non rinnega l’amicizia per Zeliko Raznjatovic, ex capo ultrà della Stella Rossa, meglio noto come il comandante Arkan. Con il connazionale Dejan Stankovic, nel maggio del 1999, a Udine gioca con il lutto al braccio e, dopo aver trasformato un rigore, mostra la maglietta bianca con il bersaglio e la scritta “target”, simbolo di quanti da oltre un mese protestano per gli ordigni contro la Serbia. In biancoceleste dal 1998 al 2004, diventa l’idolo della tifoseria che ripaga con un totale di 20 gol, suo record con la stessa maglia. Chiude la carriera nel 2006, dopo due stagioni all’Inter. Da tecnico si guadagna ben presto il soprannome di ‘sergente’ per i pesanti metodi di allenamento. Una carriera con più esoneri che successi, ma ovunque Mihajlovic è apprezzato per l’impegno e la dedizione al lavoro.

La grinta, la voglia di essere in panchina nonostante gli effetti delle cure, lo fanno amare a Bologna più che altrove. E giocatori e tifosi lo ringraziano, andando a salutarlo sotto le finestre dell’ospedale, quando non può essere al suo posto. O recandosi in pellegrinaggio al Santuario di San Luca, con quelli della Lazio, per pregare insieme per il loro allenatore. La storia in rossoblù si chiude con l’esonero nello scorso settembre, amaro e non accettato: “Stavolta il sapore che mi lascia il mio voltarmi indietro è più triste”, scrive rivolto a “fratelli e concittadini, dopo tre anni e mezzo di calcio, di vita, di lacrime, di gioia e di dolori”.

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