Vita da Strega: a Catania la sfida dei semifinalisti

Presentata la dozzina del premio letterario: c'era pure Melissa P

CATANIA – E’ stata una presentazione marzulliana. Domande e risposte in grande sintesi per far conoscere in pillole ai 400 spettatori del monastero dei benedettini i 12 semifinalisti del Premio Strega, concorso letterario che per il secondo anno consecutivo ha inaugurato la sua tournée nazionale a Catania. Ovvero “nella città con percentuali spaventose di abbandono scolastico, in cui metà delle biblioteche è chiusa, mentre in Sicilia oltre 4 milioni di persone non hanno letto un libro durante lo scorso anno”, come ha ricordato Simone Dei Pieri, organizzatore del Catania book festival e dell’incontro di stamattina all’università.

In realtà non era proprio una dozzina, perché uno dei 12 (Paolo Di Paolo, autore di “Romanzo senza umani”) è rimasto a casa. Sonia Aggio, autrice di “Nella stanza dell’imperatore”, offre ai lettori un romanzo storico che mostra il volto segreto dell’Impero romano d’Oriente alla corte dei Basileus di Bisanzio e racconta l’ascesa al trono dell’imperatore bizantino Giovanni Zimisce. “Ho pensato alla situazione sovrannaturale, alle streghe, per creare una situazione d’incertezza e dare umanità a una persona esistita più di mille anni fa”.

In “Adelaida” di Adrián N. Bravi la protagonista è Adelaida Gigli, una delle figure femminili più sorprendenti dell’Argentina del secolo scorso. Pronta a nascondere armi e dissidenti nella sua casa, a ridere in faccia al potere, la donna “era una di quelle figure che hanno segnato la mia vita dopo che lho conosciuta. – dice Bravi- Frequentare lei era per me come riscoprire le mie radici. Mai avrei pensato di poterlo fare a Recanati”.

Donatella Di Pietrantonio con “L’età fragile” richiama un episodio di cronaca che risale agli anni Novanta, accaduto nel cuore dell’Abruzzo appenninico, e si occupa proprio della vulnerabilità quale compagna di tutti i personaggi: “Non avevo mai pensato di scrivere sulla violenza di genere perché temevo che potesse diventare un’operazione programmatica. L’avevo escluso”.

Tommaso Giartosio in “Autobiogrammatica” narra di un’esistenza – unica e comune – intrecciata con la sacralità del linguaggio del lessico familiare. “Ginzburg racconta benissimo il lessico famigliare da cui ciascuno di noi può riconoscersi. Il rapporto con i genitori è solo accoglienza ma anche conflitto. I genitori, e i genitori dei nostri genitori, ci consegnano un mondo al quale ci possiamo riconoscerci anche no. L’unico modo per raccontare la propria vita senza cadere nell’auto referenza per me è stato proprio passare dal linguaggio”.

Antonella Lattanzi con “Cose che non si raccontano” tratta il desiderio di essere madre in un romanzo autobiografico molto intenso dove il corpo e il dolore sono protagonisti. “Le donne non parlano mai di aborto anche quando hai cercato di una gravidanza. Ho pensato a tutti i corpi medicalizzati devono avere una voce e ho pensato che dalla rabbia poteva nascere un romanzo”.

Valentina Mira è autrice del romanzo “Dalla stessa parte mi troverai” e riesamina la storia di Mario Scrocca, un giovane ingiustamente arrestato per due omicidi nell’ambito della strage di Acca Larentia e che venne trovato morto impiccato in una cella del carcere di Regina Coeli. Il romanzo è stato al centro di molte polemiche da parte del centrodestra italiano. “La pacificazione può esserci ma solo se c’è una presa di responsabilità. C’è differenza tra essere state vittime e fare del vittimismo, e legittimare posture aggressive che portano a essere carnefici”.

La 38enne catanese Melissa Panarello in “Storia dei miei soldi” racconta se stessa ma con la creazione di un doppio letterario. Nel romanzo la protagonista è appunto Melissa che dopo anni incontra Clara, l’attrice che la interpretò nella trasposizione cinematografica del suo romanzo (Panarello è autrice del bestseller datato 2003 “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire”). “I soldi rivelano quello che tu sei e raccontano la tua storia; così come il sesso sono trattati come un tabù, come fossero qualcosa di sporco”.

Daniele Rielli ha scritto il romanzo a più voci “Il fuoco invisibile. Storia umana di un disastro naturale” e illustra con l’approccio letterario un dramma ecologico e sociale partendo dalla Xylella, il batterio che nel mondo ha causato la più grave epidemia delle piante e che in Puglia ha distrutto ettari di ulivi, con tutta la storia che racchiudono, compresa quella della famiglie locali. “Mio padre e mio nonno sono salentini; la xylella è una normale malattia delle piante ma da questa si scatena una caccia alle streghe, con tanto negazionismo. Negazionismo che funziona perché offre ingredienti semplici ma ben scritti: il cattivo straniero, e gli ulivi, creature molto simboliche”.

Con “Aggiustare l’universo” Raffaella Romagnolo descrive l’Italia del dopoguerra dove regnano le macerie e narra di una giovane insegnante, Gilla, che ripara oggetti segnati dal tempo e vite segnate dal dolore. E poi c’è Francesca, che proviene dall’orfanotrofio e che non parla mai. Il suo vero nome è Ester ed è una “vittima della difesa della razza. Genova fu la città più bombardata dalla seconda guerra mondiale e partecipò in massa alla Resistenza. Per la protagonista passare di lì non ha nulla di eroico, semmai è doloroso”.

Chiara Valerio in “Chi dice e chi tace” offre un ritratto di donne in costante mutazione, un’indagine tra silenzi e dicerie di provincia ambientata a Scauri, sul Tirreno. La protagonista si muove lungo un percorso di auto scoperta e in un ambiente dove la diversità non è ben vista. “Non si fa la gradazione degli amori. L’amore non è buono né cattivo anche se misuriamo la lunghezza dei matrimonio come misura dell’amore. Ebbene la mia protagonista, Lea Russo, mi sta simpaticissima perché lei non ci sta”.

Dario Voltolini in “Invernale” rievoca l’immagine del padre di mestiere macellaio nel mercato torinese di Porta Palazzo; un padre scomparso prematuramente che ispira una preghiera nata dal ricordo e dall’amore filiale. La malattia diventa trasformazione del corpo ma anche l’occasione per fare esperienza di un nuovo linguaggio. “Ho impiegato 40 anni a scrivere questo libro, perché volevo essere certo di poter maneggiare lo strumento della scrittura per raccontare mio padre” .

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