Fermata la fuga del boss

Palermo: Lauricella era in odor di condanna. Il suo clan cercava il consenso popolare

PALERMO – La Cassazione probabilmente a giorni avrebbe reso definitiva la sua condanna, perciò Salvatore Lauricella, figlio del boss del quartiere palermitano della Kalsa Antonio Lauricella, noto col soprannome di Scintillone, stava preparando la fuga. Un piano sventato dal blitz dei carabinieri che ha anche dato un nuovo colpo alla famiglia mafiosa di Villabate, paese in cui Lauricella vive, già pesantemente colpita dalle indagini dopo le rivelazioni del pentito Francesco Colletti, ex capomafia del piccolo centro alle porte di Palermo.

L’intenzione di fuggire è provata, tra l’altro, da una conversazione intercettata tra due mafiosi che parlano di Lauricella: “Il 25 aprile gli vengono le crisi… questo latitante ora si butta”, diceva uno dei due. Il boss, lasciato il carcere dopo l’arresto, da Palermo si era trasferito a Villabate, circostanza che allarmava gli affiliati locali che temevano le ingerenze negli affari di un capo di peso come lui. “A Palermo puoi fare quello che vuoi, io ti voglio bene ma puoi andare a c..a largo”, diceva un uomo d’onore intercettato riferendo una sua conversazione con Lauricella che era stato avvertito sul rispetto degli equilibri locali. 

I militari oltre a Lauricella hanno arrestato tre persone, Francesco Terranova, Giovanni La Rosa e Vito Traina. Dall’inchiesta, partita da accertamenti su alcune estorsioni nei confronti di imprenditori locali, è emerso che negli ultimi anni il clan si sarebbe riorganizzato potendo contare sul contributo degli uomini d’onore tornati in libertà dopo aver scontato le condanne. I militari hanno scoperto che il clan tentava di riconquistare il consenso della popolazione con una “pacificazione” con gli imprenditori e i commercianti economicamente più fragili e il controllo della piccola criminalità e dello spaccio nel comune di Villabate.

L’operazione di oggi, che ha subìto un’accelerazione per il pericolo di fuga di Lauricella, dà un quadro in linea con altre recenti inchieste fatte nel capoluogo, ovvero quello di una Cosa nostra per nulla rassegnata e sconfitta, ma impegnata, attraverso il continuo richiamo alle proprie “regole”, a riorganizzare le proprie fila “per proporsi sul territorio con maggiore credibilità e autorevolezza”, dicono gli inquirenti. 

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