Alzheimer: scoperta storica, possibili nuove cure

Studio in parte italiano sul Dna dei malati 

Sono ben 75 regioni del Dna associate al rischio di Alzheimer, 42 delle quali non erano mai state collegate prima alla malattia: è l’importante scoperta fatta dal più grande studio internazionale condotto finora su questa malattia neurodegenerativa e che potrebbe ora aprire la via alla ricerca di nuove terapie.

Pubblicato sulla rivista Nature Genetics, lo studio è coordinato da Istituto nazionale francese per la ricerca su salute e medicina (Inserm), università di Lille, Istituto Pasteur e Ospedale universitario di Lille, cui hanno partecipato anche moltissimi atenei e centri di ricerca italiani, fra i quali le università di Firenze, Milano e Milano-Bicocca, Bari, Perugia, Torino, Irccs Fondazione Santa Lucia e Policlinico Gemelli.

E’ un risultato che costituisce un avanzamento essenziale per capire meglio i meccanismi alla base della forma più comune di demenza, che colpisce milioni di persone in tutto il mondo e per la quale non esiste ancora una cura. E’ invece noto da tempo che l’Alzheimer ha una forte componente genetica e adesso conoscerla interamente è fondamentale per approfondire la ricerca su questa malattia a tutto campo. Individuare le 75 componenti genetiche coinvolte nell’Azheimer è stato possibile analizzando il Dna di oltre 111 mila persone malate, o con parenti stretti malati, e più di 677 mila persone sane.

Le regioni genetiche scoperte confermano l’importanza di fenomeni già molto studiati, ma gettano luce anche su meccanismi che non si ritenevano collegati con questa patologia. Oltre all’accumulo nel cervello della proteina beta-amiloide e alla degenerazione della proteina Tau, due processi associati da tempo all’insorgere dell’Alzheimer, i risultati hanno posto l’attenzione anche su disfunzioni innate del sistema immunitario e della microglia (cellule immunitarie che svolgono il ruolo di spazzini del sistema nervoso centrale), così come su molecole implicate nella risposta infiammatoria dovuta a lesioni dei tessuti. I ricercatori intendono proseguire lo studio su un campione ancora più vasto, che includa un maggior numero di soggetti non caucasici, in modo da capire se i fattori di rischio sono gli stessi in tutte le popolazioni.

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