Agrigento

Ucciso 33 anni fa dalla mafia il giudice Rosario Livatino

AGRIGENTO – Ucciso 33 anni fa dalla mafia nelle campagne di Agrigento, Rosario Livatino, definito giudice ‘ragazzino’ proprio per la sua giovane età, viene ricordato oggi, nel giorno dell’anniversario del suo brutale assassinio. Un vero “martire della giustizia” è stato definito da molti. A 23 anni si laurea in Giurisprudenza a Palermo e tre anni dopo entra in magistratura, prima a Caltanissetta, poi ad Agrigento. Magistrato coraggioso, uomo di grandi valori e profonda fede, da magistrato aveva combattuto le consorterie criminali della provincia di Agrigento, concentrandosi sulle attività della ‘Stidda’, gruppo attivo tra Agrigento a Gela che decise di porre fine alla sua vita. Secondo i documenti raccolti nel processo di beatificazione, avrebbe compiuto, dopo la sua morte, due miracoli.

Quel 21 settembre del 1990, era mattina e a bordo della sua Ford Fiesta color amaranto, senza scorta, si stava dirigendo da Canicattì ad Agrigento, lungo la strada statale 640. Al chilometro 10 la Fiesta fu speronata dall’auto del commando formato da quattro killer. Livatino carcò di fuggire dirigendosi verso una scarpata, ma venne raggiunto dai sicari che lo freddarono, senza lasciargli scampo. Il processo di beatificazione, avviato nel 2011 si è concluso nel 2018.

“Bisogna trovare il coraggio di avere più coraggio. Abbiamo avuto testimonianze di persone che lo hanno fatto, si sono sacrificate, molte sono state anche emarginate, ma che hanno portato un grande contributo nel contrasto alla violenza criminale mafiosa”. Lo ha detto don Luigi Ciotti, a Santo Stefano Quisquina, nell’Agrigentino. “Oggi, in Italia, si è passati dal crimine organizzato mafioso al crimine normalizzato”. “Loro si sono performati – dice il sacerdote che ha creato l’associazione ‘Libera’ – e tocca anche a noi unire le nostre forze per diventare una forza propositiva, di cambiamento. Non possiamo delegarlo solo alla magistratura e alle forze di polizia. Se vogliamo bene al nostro Paese, ai nostri territori dobbiamo avere il coraggio di avere più coraggio. E quando vediamo delle cose che non vanno bene dobbiamo, trovando i modi giusti, collaborare per la ricerca della verità e della giustizia. Non dimentichiamoci che la presenza mafiosa c’è e che oggi i grandi boss sono passati dalle forme più arcaiche di una volta a essere manager e imprenditori del Paese. Si camuffano e sono presenti. E allora dobbiamo essere ancora più presenti noi”.

scroll to top