Messina Denaro e il piano di morte per la nonna di sua figlia

Dai pizzini con Laura Bonafede rivelazioni sui progetti del boss

PALERMO – Il boss Matteo Messina Denaro avrebbe progettato di uccidere la nonna materna di sua figlia Lorenza. E’ quanto emerge dal provvedimento con cui i giudici del Riesame hanno rigettato l’istanza di scarcerazione dell’amante del capomafia, la maestra Laura Bonafede. Il progetto di morte sarebbe stato determinato dai contrasti nati tra l’ex compagna di Messina Denaro, Franca Alagna, e la famiglia del padrino. Contrasti che, secondo Messina Denaro, sarebbero stati causati proprio da Filippina Polizzi, madre della Alagna e nonna della figlia naturale del boss, Lorenza.

I giudici svelano il piano di morte, poi mai realizzato, partendo da un messaggio del 15 dicembre del 2022 tra l’allora latitante e la Bonafede. “La Bonafede lasciava intendere – scrivono i magistrati del Riesame – che questi (Messina Denaro ndr) avesse manifestato il proprio intento omicidiario ai danni di Filippina Polizzi, madre di Franca Alagna e ritenuta la vera artefice delle frizioni familiari”. Nel biglietto citato dai giudici la Bonafede, riferendosi a una precedente comunicazione con il capomafia, dice: “Al punto 35 mi dici che porterai ‘Quella’ a salutare ‘Uomo’”, dove ‘quella’ è la Polizzi e ‘Uomo’ è il boss Leonardo Bonafede, padre della maestra deceduto anni fa. Una frase nemmeno tanto sibillina che lascia intendere la volontà di far raggiungere dalla donna il capomafia morto. Proprio in seguito ai contrasti con la famiglia del padre naturale la figlia di Messina Denaro, Lorenza, lasciò la casa dei Messina Denaro in cui aveva abitato con la madre. Solo dopo l’arresto del padre la ragazza e il padrino di Castelvetrano si sarebbero riavvicinati.

Emergono nel provvedimento anche altri particolari su Laura Bonafede, per anni compagna del capomafia di Castelvetrano arrestata con le accuse di favoreggiamento aggravato e procurata inosservanza della pena. I giudici hanno depositato nei giorni scorsi le motivazioni della decisione. Come si legge nel provvedimento, la Bonafede “ha contribuito in modo fattivo al mantenimento in vita della peculiare rete di comunicazione di Matteo Messina Denaro, affidando la consegna dei propri scritti ai ‘tramiti’, ideando ella stessa nuovi nomi in codice con cui fare riferimento a terzi soggetti o servendosi di nomi già pensati da boss e distruggendo i messaggi da lui ricevuti in vantaggio dell’ex latitante”.

Risalirebbe al 1996 l’inizio della relazione tra Laura Bonafede e il boss Matteo Messina Denaro. Solo a partire dal 2007, però, la donna sarebbe stata coinvolta dal capomafia nella gestione dei propri interessi, così come sostiene il tribunale del Riesame nella motivazione del provvedimento. La convivenza tra i due, insieme alla coppia viveva anche la figlia della maestra, Martina Gentile, indagata per gli stessi reati della madre, “sarebbe stata interrotta nell’aprile del 2015 – specificano i magistrati -. Da aprile del 2017 la convivenza si sarebbe trasformata in mera frequentazione, anche quest’ultima sarebbe stata bruscamente arrestata nel dicembre del 2017 probabilmente a seguito delle perquisizioni disposte dai giudici”. L’indagine che ha portato all’arresto della Bonafede è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dal pm Gianluca De Leo.

Intanto, Emanuele Bonafede e la moglie Lorena Lanceri, la coppia di Campobello di Mazara che ha ospitato per mesi a casa Messina Denaro prima dell’arresto, sarà processata col rito abbreviato. Sono stati i due ‘vivandieri’ del capomafia, in cella per favoreggiamento e procurata innosservanza di pena, a optare per il rito alternativo dopo che la Procura di Palermo, coordinata da Maurizio de Lucia, ha chiesto e ottenuto per entrambi il giudizio immediato. La data del processo non è stata ancora fissata, mentre comparirà il 27 giugno davanti al gup – anche lui ha scelto l’abbreviato – Andrea Bonafede, cugino di Emanuele, pure lui in cella per favoreggiamento. Per mesi ha fatto la spola con lo studio del medico curante del padrino, Alfonso Tumbarello, con le prescrizioni mediche necessarie alle cure alle quali l’allora latitante doveva sottoporsi.

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