Da Catania all’Antartide per studiare i vulcani

Nasce tra i ghiacci un osservatorio gestito da università etnea e Ingv VIDEO-FOTO

E’ stato costituito il nuovo Osservatorio vulcanologico permanente in Antartide: si chiama I-Volca (Italian VOLCanological observatory in ANtarctica) ed è gestito dall’università di Catania e dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Ha come obiettivo lo sviluppo di un sistema di monitoraggio multiparametrico del vulcano Melbourne e successivamente del vulcano Rittmann. Avrà carattere multidisciplinare e coinvolgerà partecipanti con competenze complementari in diversi ambiti quali sismologia, geodesia, geochimica dei gas e delle rocce, tefrocronologia, tecnologia e strumentazione, scienza dei dati, monitoraggio dei vulcani, creazione e gestione di database.

I vulcani attivi sono diffusi in tutto il mondo, anche in aree remote come l’Antartide. Negli ultimi anni il vulcanismo antartico ha attirato l’attenzione della comunità scientifica internazionale anche a seguito delle recenti eruzioni di vulcani remoti, quali l’Eyjafjallajökull in Islanda nel 2010 e l’Hunga Tonga-Hunga Haʻapai nel 2022, che ci hanno ricordato come anche i vulcani più lontani e meno conosciuti sulla Terra possano rappresentare un pericolo significativo per le grandi comunità.

L’insediamento permanente e la presenza stagionale di scienziati, tecnici, turisti e personale logistico in Antartide sono notevolmente aumentati negli ultimi decenni. Pertanto, la necessità di conoscere meglio e monitorare questi vulcani sta diventando sempre maggiore e urgente. L’università di Catania e l’Ingv collaborano intensamente da anni nello studio del vulcanismo antartico, attraverso progetti di ricerca finanziati dal Programma nazionale di ricerche in Antartide (Pnra).

I risultati degli studi sui due vulcani hanno dimostrato che entrambi sono attivi, presentano fumarole alimentate da gas vulcanici e generano segnali sismici tipici di ambiente vulcanico, come eventi di lungo periodo e tremore. Inoltre, studi tefrostrastigrafici e petrologici eseguiti sui campioni di roccia raccolti in vari affioramenti del Monte Melbourne hanno permesso di ricostruire eruzioni esplosive con stili che vanno da stromboliano a pliniano avvenute fino in epoca storica. Ciò significa che il Monte Melbourne è capace di generare eruzioni fortemente esplosive ed è quindi potenzialmente pericoloso per le vicine stazioni scientifiche e per la sicurezza aerea in tutto il continente antartico.

Altri aspetti interessanti sono stati l’esplorazione e la mappatura per la prima volta delle ‘ice-caves’, situate sulla sommità dei vulcani, che sono grotte di ghiaccio formate dai gas fumarolici caldi che sciolgono lo strato inferiore di ghiaccio e neve lasciando una cavità che è accompagnata da una tipica struttura a camino detta ice-tower. L’esplorazione delle ice-caves ha permesso sia di individuare ambienti incredibilmente affascinanti, sia di identificare luoghi protetti, adatti ad ospitare la strumentazione necessaria per il monitoraggio in continuo dei vulcani.

Il progetto fornirà un flusso continuo di dati multidisciplinari (sismici, geodetici, geochimici, vulcanologici) che saranno condivisi con la comunità scientifica internazionale portando a un avanzamento nelle conoscenze in ambito vulcanologico, così come in altre discipline quali la geofisica, la geodinamica, la glaciologia, il clima e la biologia. La creazione di una rete di monitoraggio in aree remote come il continente antartico richiederà un notevole impegno da un punto di vista tecnologico, in quanto gli strumenti che costituiscono la rete devono affrontare il clima più estremo della Terra, caratterizzato da temperature molto rigide, forti venti e notevoli variazioni nella durata della radiazione solare che varia dall’intera giornata di radiazione durante le estati antartiche alla completa oscurità durante gli inverni.

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