Il boss comandava dal carcere in videochiamata

Oltre 200 militari in campo a Palermo per sgominare il clan: 26 arresti VIDEO

PALERMO – Salvatore Sorrentino, braccio destro di Settimo Mineo, l’uomo che voleva ricostruire la cupola mafiosa, dal carcere romano avrebbe continuato a gestire la famiglia del Villaggio Santa Rosalia, quartiere periferico di Palermo al centro della nuova operazione della scorsa notte dei finanzieri del comando provinciale. Sorrentino, ricostruisce l’accusa, dava precisi ordini al figlio Vincenzo di 23 anni per proseguire nella gestione degli affari e dirimere contrasti dentro la cosca.

La scorsa notte i finanzieri, coordinati dalla Dda diretta dal procuratore Maurizio de Lucia, con l’operazione ‘Villaggio di famiglia’ hanno eseguito 33 ordinanze di custodia cautelare: 25 in carcere, una agli arresti domiciliari e sette interdittive per l’esercizio di attività imprenditoriali. Gli indagati sono accusati dei reati di partecipazione e concorso esterno in associazione mafiosa, con l’aggravante dell’associazione armata, trasferimento fraudolento di valori al fine di agevolare Cosa nostra, e traffico di stupefacenti con l’utilizzo del metodo mafioso. Con lo stesso provvedimento il gip di Palermo ha disposto il sequestro preventivo di sei attività commerciali nel settore della ristorazione, del commercio al dettaglio di generi alimentari, del trasporto merci su strada e del movimento terra, per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro. Per l’eseguire il provvedimento sono stati impiegati 220 militari della guardia di finanza, in forza ai reparti di Palermo, Caltanissetta, Agrigento, Siracusa e Trapani.

Salvatore Sorrentino avrebbe designato il figlio Vincenzo a capo della famiglia per prendere le decisioni strategiche necessarie alla prosecuzione delle attività associative. Grazie alle notizie che arrivavano dal carcere il presunto capofamiglia è riuscito a rintuzzare il tentativo di essere scalzato da altri componenti della cosca. In soccorso di Sorrentino è arrivata anche la tecnologia. Grazie alla videochiamata introdotta con la pandemia per agevolare le relazioni tra i detenuti e i congiunti, Sorrentino avrebbe convocato numerosi affiliati per impartire direttamente ordini e direttive, rafforzando la sua autorità attraverso la forza della propria immagine e ricevendo attestati di fedeltà nel rispetto del codice mafioso.

Come emerso dalle indagini la famiglia mafiosa del Villaggio Santa Rosalia avrebbe controllato e condizionato il tessuto economico del territorio. Nulla sfuggiva, dalla vendita ambulante dei pane con l’imposizione del prezzi di vendita dei prodotti alla fornitura in regime di monopolio dei fiori attraverso una rete di venditori palermitani nei pressi dei cimiteri di Sant’Orsola e Santa Maria dei Rotoli che favorivano le imprese ragusane, vicine a esponenti mafiosi legati al clan stiddaro Carbonaro-Dominante di Vittoria (Rg).

L’apertura dei negozi avveniva dietro autorizzazione con l’imposizione di ditte e tecnici per la realizzazione di lavori nei locali commerciali. La famiglia controllava anche gli affari immobiliari, le aziende del settore edile e del movimento terra ed era sempre pronta a dirimere le controversie tra privati. Diversi affiliati tenevano la cassa della famiglia. Riserve di soldi contanti per potere assicurare il sostegno economico ai carcerati o a chi si trovava in difficoltà economica. Anche al Villaggio sono arrivati negli anni fiumi di cocaina dalla Calabria. Nel corso di indagini è stato ricostruito il pagamento di un grosso quantitativo di droga per circa 700 mila euro. I finanzieri in quell’occasione bloccarono un corriere con 7 chili di droga.

scroll to top