Palermo: omicidio Ferrera, scarcerati moglie e due figli

Maltrattamenti alla base del delitto: i tre affidati ai servizi sociali

PALERMO – Il tribunale di sorveglianza di Palermo ha disposto la scarcerazione di Salvatrice Spataro e dei figli Mario e Vittorio Ferrera, concedendo per loro la misura alternativa dell’affidamento in prova ai servizi sociali. Erano stati condannati in via definitiva a nove anni di reclusione per l’omicidio di Pietro Ferrera, marito della Spataro e padre dei Ferrera, avvenuto a Palermo il 14 dicembre del 2018. L’uomo era stato assassinato in casa con decine di coltellate. Il delitto sarebbe maturato nell’ambito di maltrattamenti, violenze e soprusi che per 20 anni la vittima avrebbe commesso nei confronti della moglie, e anche dei figli, che nel procedimento sono stati difesi dagli avvocati Giovanni Castronovo e Maria La Verde.

Secondo la ricostruzione del delitto, la Spataro, esasperata dall’ennesimo episodio di violenza subita, prese un coltello da cucina e colpì il marito. L’uomo si difese e cercò a sua volta di colpire la moglie. Ne seguì una violenta colluttazione interrotta dall’arrivo dei figli Mario e Vittorio che, per difendere la madre, colpirono ripetutamente il padre con dei piccoli coltelli. “Considerata la pena già espiata e tenuto conto dell’assenza di altri precedenti e procedimenti pendenti, è possibile inquadrare la vicenda come una manifestazione criminosa unica e irripetibile – spiegano gli avvocati Castronovo e Lo Verde – significative sono le considerazioni svolte dal magistrato di sorveglianza Simone Alecci nelle ordinanze con le quali è stato concesso a Mario e Vittorio Ferrera la misura alternativa dell’affidamento in prova. E infatti, dopo aver dato atto del positivo profilo della personalità dei due giovandosi come tratteggiato da educatori e assistenti sociali in servizio nella casa circondariale Pagliarelli, malgrado il titolo di reato di cui si sono resi responsabili, hanno dimostrato di aver intrapreso un percorso di seria revisione critica in merito”. In primo grado il gup Guglielmo Nicastro aveva condannato gli imputati a 14 anni, mentre la Corte d’assise d’appello ha ridotto la pena a nove anni, poi divenuta definitiva.

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