Processo per Salvini: in aula scontro tra periti

Open Arms, a Palermo il ministro si difende: 'Sta emergendo la verità'

PALERMO – Una battaglia di consulenti in aula offre due contrapposti punti di vista sul caso della Open Arms, la nave ong spagnola che l’1 agosto 2019 raccolse 147 migranti in mare e attese per 15 giorni di poterli sbarcare a Lampedusa. Matteo Salvini, che all’epoca era ministro dell’Interno, risponde davanti al tribunale di Palermo di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Perché lo sbarco venne ritardato così tanto? La tesi dell’accusa attribuisce lo stop a Salvini. E oggi l’udienza si è incentrata sulla ricostruzione di ciò che accadde quel giorno a circa 70 miglia dalla costa libica, a partire dalla deposizione del comandante del sommergibile “Venuti”, il capitano corvetta Stefano Oliva.

L’ufficiale ha riferito che il sommergibile osservò e riprese le operazioni di trasbordo dal barchino alla nave ma non intervenne perché non vennero ravvisate condizioni di pericolo. Il comandante aveva poi trasmesso un report alla catena gerarchica, ma non sa se ne facesse parte anche Salvini. La barca dei migranti era in pericolo imminente oppure poteva proseguire senza rischi la navigazione? Proprio su questo nodo cruciale accusa e parti civili da un lato e difesa dall’altro si sono scontrate mettendo in campo una pattuglia di consulenti. Quelli della Procura, Renato Magazzù e Dario Megna, hanno sostenuto che sul barchino di appena 10-12 metri erano ammassate 55 persone, tra cui donne bambini. E non c’era traccia di apparati di sicurezza. In queste condizioni critiche l’intervento di soccorso era necessario.

“Quella barca non doveva mai salpare da un porto”, ha insistito Vittorio Alessandro, ammiraglio in congedo della guardia costiera, consulente delle parti civili. Sulla stessa linea l’altro consulente Alessandro Carmeni. Ben diverso lo scenario tratteggiato dai consulenti della difesa, altri due ufficiali in congedo della marina militare, i contrammiragli Massimo Finelli e Maurizio Palmese, per i quali intanto quel salvataggio non fu casuale, ma un’operazione di appoggio alle strategie dei trafficanti di esseri umani.

I due consulenti hanno esaminato le chiamate di Alarm Phone, la prima a segnalare le difficoltà dell’imbarcazione, i rilevamenti aerei, le conversazioni registrate, le annotazioni del diario di bordo e le immagini acquisite dal sommergibile “Devoti”. In più hanno rilevato varie discordanze tra la loro ricostruzione e quella proposta dalla nave spagnola. Sono arrivati così alla conclusione che nulla accadde per caso. Il salvataggio sarebbe stato guidato da informazioni arrivate a Open Arms da fonti non identificate. Il sospetto è che la nave, con i suoi improvvisi cambi di rotta e manovre apparentemente incongrue, si sarebbe prestata a dare appoggio ai trafficanti. Il barchino non era in imminente pericolo e non era necessario un intervento urgente. “Credo che tutto stia emergendo con estrema chiarezza”, ha commentato alla fine Matteo Salvini.

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