Le mani dei ‘barcellonesi’ anche sull’ecobonus

Scambio di voti, ortofrutta e discoteche: tutti gli affari del clan, 54 arresti NOMI - VIDEO

I carabinieri di Messina hanno dato esecuzione a misure cautelari emesse, su richiesta della Procura distrettuale antimafia guidata dal procuratore Maurizio De Lucia, nei confronti di 86 persone accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, scambio elettorale politico mafioso, trasferimento fraudolento di valori, detenzione e porto illegale di armi, incendio, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, con l’aggravante del metodo mafioso.[fvplayer src=”https://vimeo.com/680316994″ splash=”https://i.vimeocdn.com/video/1379073783-a66aee70363a05d4d23f2e64ffd922f5473a6a777585f3453fe67d8bb1059741-d_1920x1080?r=pad”]

Sono 54 le persone finite in carcere. Per 27 sono stati disposti gli arresti domiciliari e per 5 l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. L’inchiesta ha svelato le attività illegali del clan barcellonese, i suoi tentativi di infiltrarsi nelle attività imprenditoriali lecite, in particolare nel settore della commercializzazione di prodotti ortofrutticoli attraverso prestanomi e imponendo forniture dei prodotti e prezzi da applicare sulla merce. Forte l’interesse della cosca anche per il business dei locali notturni e dei ristoranti. Il clan imponeva alle discoteche, con la violenza e le intimidazioni, i servizi di sicurezza e interveniva per condizionare i titolari dei locali nella gestione delle loro attività. L’inchiesta ha accertato movente ed esecutori dell’incendio doloso appiccato a una sala ricevimenti di un’impresa non controllata dalla cosca. Per gli inquirenti, nonostante anni di indagini che hanno decimato le fila del clan con arresti e la condanna di capi storici e gregari, i barcellonesi avrebbero manutenuto il controllo del territorio. L’inchiesta ha confermato quanto sia ancora forte la pressione del racket su imprenditori e commercianti e l’interesse della cosca per lo storico business della droga.

Il boss di Barcellona Pozzo di Gotto, Mariano Foti, aveva cercato contatti anche con imprenditori e politici locali come Mario Tindaro Ilacqua, dipendente della ditta Pi.esse.i. srl che opera nel settore delle energie rinnovabili, per creare una rete imprenditoriale che ottenesse appalti legati all’ecobonus 110%. Secondo gli inquirenti sarebbero state create le basi per una “rete commerciale” a cui affidare il compito di segnalare gli edifici su cui effettuare i lavori di ristrutturazione edilizia e di efficientamento energetico previsti dall’ecobonus.

Infiltrazioni del clan anche nel campo della politica. In occasione delle elezioni amministrative che si sono svolte a Barcellona Pozzo di Gotto il 4 e il 5 ottobre 2020, un boss avrebbe appoggiato politici locali in cambio della promessa di assunzione del figlio. Il capomafia Mariano Foti avrebbe sostenuto il candidato della lista Diventerà Bellissima, Carmelo Caliri, in cambio della sistemazione lavorativa del figlio Salvatore, poi ottenuta attraverso un terzo soggetto, Mariano Calderone. La lista sarebbe stata appoggiata anche da altri due mafiosi: Cannello Foti e Rosario De Pasquale. I due parlavano della candidata Domenica Milone (che ebbe 141 voti). “Per curiosità così, come siete combinato a voti voi? Ve ne rompono coglioni ora?”, diceva De Pasquale. “Compare ho una figlioccia, parlando qui tra me e voi”, rispondeva Foti. “A posto lo so! La figlia di Angelino”, la risposta del primo. Dalle intercettazioni emerge il supporto dato sempre da De Pasquale a Giampiero La Rosa, candidato nella lista Diventerà Bellissima ed eletto consigliere comunale con 347 voti di preferenza. Contattato dal padre del candidato, che gli domandava se era troppo tardi per chiedere voti per il figlio, De Pasquale rispondeva “no, non è tardi, tu già nel mio cuore eri, non c’è bisogno che me ne cerchi. Ma io ti dico dov’è che voto a te Nello, perché io ti rispetto…(..) ah! non c’è problema, puoi venire l’ultimo giorno da me, puoi stare sicuro”.

Dalle indagini è emerso che i capomafia anche dagli arresti domiciliari organizzavano summit, definivano piani e strategie, riorganizzavano la famiglia e ricostruivano l’alleanza tra i vertici del clan per imporre una regia unica alle
 attività illecite e ripristinare la cassa comune (che chiamavano “paniere” o “bacinella”) dove far
 arrivare i soldi sporchi, in parte destinati al sostentamento degli uomini d’onore detenuti. La cosca, secondo gli inquirenti, negli ultimi tempi sarebbe stata completamente riorganizzata, gli antichi dissapori tra i vertici messi da parte in nome di business comuni come la richiesta di pizzo alle imprese e agli esercizi commerciali da riscuotere, come da tradizione, durante le festività di Pasqua, Natale e Ferragosto. Le vittime del racket, sottoposte a minacce e intimidazioni, vivevano in un clima di terrore. Nessuno si rivolgeva agli investigatori.

Il clan aveva la disponibilità di armi, anche da guerra, e controllava la prostituzione. L’attività era gestita da una organizzazione criminale che faceva capo a un uomo vicino alla famiglia mafiosa, che in cambio di “protezione” assicurava ai boss una percentuale sui guadagni. Ai “barcellonesi”, inoltre, facevano capo un grosso traffico di droga destinato alle piazze di spaccio di Barcellona Pozzo di Gotto, Milazzo e altri comuni della provincia e le bische clandestine. Il clan aveva rapporti costanti con organizzazioni criminali in Sicilia e in Calabria. Nell’ambito dell’inchiesta sono state scoperte due organizzazioni criminali che rifornivano le piazze di spaccio di droga non solo della cittadina messinese, ma anche di altri comuni dell’area tirrenica, tra cui Rodì Milici, Terme Vigliatore e Milazzo, arrivando fino a Messina città, Letojanni e Giardini di Naxos. Durante l’indagine sono stati sequestrati circa 19 kg di droga tra cocaina, hashish e marijuana.
 Grazie ai carabinieri della Compagnia di Milazzo inoltre è stata documentata la filiera al dettaglio dello spaccio di marijuana, hashish, Lsd e cocaina distribuite nell’area di Milazzo, della Valle del Mela, del Barcellonese e nelle isole Eolie. Le bande ricorrevano alla violenza per riscuotere i soldi guadagnati dalla vendita di droga e attraverso furti in abitazioni, lidi balneari, un cantiere nautico e un’autorimessa mettevano insieme il denaro necessario per l’acquisto dello stupefacente.

Nell’ambito dell’indagine sono state sequestrate tre società: una che opera nel settore immobiliare e che era utilizzata per agevolare, con appartamenti dati in 
affitto, l’esercizio della prostituzione, e due del settore della vendita all’ingrosso di ortofrutta. Sequestrati anche 4 immobili – di cui due impiegati come case di prostituzione e due 
intestati a prestanomi – e un’auto. Il valore dei beni e delle attività sequestrati ammonta a un milione di euro. 

GLI ARRESTATI. Queste le persone arrestate nell’inchiesta della Dda di Messina sul clan di Barcellona Pozzo di Gotto: Francesco Aiello, Giovanni Alessi, Stellario Bernava, Alfio Campo, Giuseppe Chiofalo, Giovanni Cutroneo, Carmelo Donato, Tindaro Giardina, Antonino Pirri, Piero Salvo, Antonio Zocca, Gabriele e Alessandro Abbas, Tommaso Pantè, Antonino Lo Presti, Biondo, Antonino Bonaffini, Jordan Brunini, Gianluca Campo, Alessio Catalfamo, Angela Chiofalo, Bartolo Costantino, Antonino Crea, Felice De Pasquale Felice, Angelo De Pasquale Tindaro Angelo, Carmine Di Natale, Antonino Falcone, Carmelo Foti, Francesco Salvatore Foti, Mariano Foti, Fabrizio Garofalo, Salvatore Gatto, Giusi Giardina, Filippo e Maurizio Iannello, Giovanni Imbesi, Enrico Mara, Antonino e Vincenzo Mazzeo, Steven Meo, Roberto Merlino, Roul Antonio Milici, Agostino Milone, Giampiero Munafò, Vincenzo Nucera, Ottavio Perdichizzi, Angelo Porcino, Aldenice Santos Cardoso, Carmelo Tindaro Scordino, Maurizio Sottile, Filippo Torre, Salvatore Triolo.

Ai domiciliari sono finiti: Mariano Calderone, Fortunato Caranna, Salvatore Torre, Davide Canevari, Enrico Albergo, Massimo Abbriano, Natale Morasca, Stefano Bartuccia, Stefana De Luca, Carmelo Imbesi, Younnes Marouine Maria Pittari, Carmelo Caggegi, Domenico Florano, Salvatore Franco, Alessandro Giusti, Antonino Iacono, Carmelo Mazzù, Mohamed Hajjoubi, Matias Piccolo, Salvatore Lo Duca, Teresa Morici, Maria Di Biase, Caterina Papale, Patrick Emanuele, Massimo Pirri, Filippo Natoli. A Antonino Chiofalo, Antonio De Domenico, Marco Lo Presti, Alessandro Mirabile e Santi Scardino è stato notificato l’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria.

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