Il Covid in 15 mesi ha bruciato la nostra speranza di vita

Nel 2020 in Italia +101.000 decessi rispetto all'anno precedente. Ma anche più fragilità fisica e crollo del Pil

ROMA – Il Covid ha bruciato nel giro di 15 mesi la speranza di vita conquistata dagli italiani in 10 anni. Non solo, nel prezzo pagato dal Paese alla pandemia entrano pure l’aumentata mortalità per cause come demenze e diabete e il crollo del Pil di almeno 5 punti percentuali in un anno.
E’ quanto emerge dal nuovo rapporto curato dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane che opera nell’ambito di Vihtaly, spin off dell’università Cattolica, presso il campus di Roma. La riduzione della speranza di vita della popolazione è stata calcolata in -1,4 anni, con punte di -2,6 in Lombardia tra gli uomini e -2,3 in Valle d’Aosta tra le donne.
A livello nazionale la variazione tra il 2019 e il 2020 di questo indicatore è stato pari a -1,4 anni per gli uomini e -1,0 anni per le donne. Il documento mostra poi che lo scorso anno in Italia ci sono stati oltre 746 mila decessi, “un numero elevato osservando la serie storica degli ultimi 10 anni, con un incremento di oltre 101 mila decessi rispetto all’anno precedente”.
L’analisi della mortalità da Covid, depurata dalla struttura per età della popolazione, evidenzia che la Valle d’Aosta (246,1 decessi per 100.000 abitanti) e la Lombardia (208,6 per 100.000) hanno sperimentato una mortalità più che doppia rispetto a quella media nazionale (103,9 per 100.000).
La pandemia ha concorso al peggioramento delle condizioni di salute di persone in condizione di particolare fragilità, come dimostra l’aumento, rispetto alla media 2015-2019, di altre cause di morte, quali demenze (+49%), cardiopatie ipertensive (+40,2%) e diabete (+40,7%). Il rapporto sottolinea che “le conseguenze della pandemia sull’economia sono state devastanti: nel 2020 il Pil è diminuito del 5,1% rispetto al 2019, a causa, in parte, del rallentamento delle attività produttive e dei consumi. Le attività che hanno subito maggiormente la crisi sanitaria sono quelle relative ai settori legati al turismo e alla cultura con una riduzione del 19% rispetto al 2019.
Osservasalute aggiunge che le diverse regioni hanno avuto comportamenti differenti nella gestione dei contagiati: per esempio Lazio e Sicilia, due regioni con la prevalenza dei contagi più bassa rispetto alla media, hanno fatto più ricorso all’ospedalizzazione. Al contrario il Veneto, una delle zone maggiormente colpite dai contagi, ha gestito, più di ogni altra, i pazienti a domicilio.
La campagna di vaccinazione ha scontato ritardi dovuti alla disponibilità delle dosi dei vaccini: complessivamente – dice il documento – sono state buone le performance regionali rispetto alla percentuali di somministrazione in relazione alle dosi disponibili: quasi il 91% a livello nazionale, Umbria, Lombardia e Marche con il 93% sono la regioni più virtuose; Sardegna (84%), PA di Trento, Lazio e Valle d’Aosta (88%) quelle con la quota più bassa.
“Nel nostro Paese, il Servizio sanitario nazionale ha mostrato i suoi limiti, vittima della violenza della pandemia, ma anche delle scelte del passato che hanno sacrificato la Sanità in nome dei risparmi di spesa”, commenta il direttore dell’Osservatorio Walter Ricciardi. “Ci vogliono più risorse e innovazione, perché la fragilità del Sistema è apparsa in tutta la sua drammaticità. Si deve tornare a investire nella ricerca, perché l’innovazione tecnologica porta esternalità positive in tutte i settori dell’economia”.
Alessandro Solipaca, direttore scientifico dell’Osservatorio, sottolinea che “la performance delle regioni nella gestione della pandemia e stata molto disomogenea, lo testimonia la variabilità del numero dei contagi, del numero dei decessi e delle persone che hanno dovuto far ricorso alle terapie intensive. Quando questa esperienza sarà finita, si dovranno analizzare i motivi di queste differenze”.
E conclude: “Un monito per il futuro è che l’emergenza sanitaria ha messo in contrapposizione gli scienziati con i politici, questo ha limitato l’efficacia delle azioni di contrasto alla pandemia influendo sui comportamenti dei cittadini che molto spesso non si sono mostrati collaborativi con le misure suggerite dagli esperti, contribuendo a una maggiore diffusione del virus”.

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