Fine lockdown, ma consultori restano chiusi

La denuncia delle attiviste di 'Non Una Di Meno Catania': "Spazi indispensabili per la tutela della salute femminile"

CATANIA – Poli industriali e bar hanno riaperto, i consultori no. Un cartello scritto a penna nel consultorio di via Orfanelli si rivolge alle pazienti: “Il consultorio apre saltuariamente, più chiuso che aperto”. Al telefono o non risponde nessuno o non si hanno certezze.
E’ questa la situazione che si sono trovate davanti le attiviste di Non Una Di Meno Catania, che dichiarano: “Tornare alla normalità? Ma quale normalità? Il periodo di lockdown, vissuto a causa della pandemia, non ha fatto altro che rinforzare la convinzione che la ‘normalità’ interrotta dal Covid 19 fosse il problema”.
“Il solco delle disuguaglianze esasperate dal sistema capitalistico, patriarcale e razzista si è approfondito ancor di più, assieme allo sfruttamento del lavoro delle donne che – continuano -, anche a rischio della propria salute, hanno svolto servizi essenziali durante il lockdown e che a casa hanno visto aumentare a dismisura il lavoro di cura di figli e familiari anche a causa della chiusura delle scuole e della didattica a distanza che, contemporaneamente, ha determinato l’aumento del carico di lavoro – al limite del burn out – dei e delle docenti”.
La situazione è la stessa in tutti i consultori del territorio catanese. “E’ necessario parlare dell’aumento dei casi di violenza domestica o della negazione del diritto alla salute, a cominciare dalla perdurante chiusura dei consultori pubblici a Catania. A fronte della riapertura della maggior parte delle attività produttive, è inaccettabile che non siano stati riaperti al pubblico questi spazi, pubblici e gratuiti, che sono indispensabili per la tutela della salute femminile”.
“Denunciamo questa deplorevole situazione, in attesa di tornare tutti assieme in piazza, a Catania come in tutta Italia, il prossimo 26 giugno – concludono -. Per riprenderci, nel rispetto delle norme di sicurezza e con i nostri corpi, gli spazi che sono anche nostri e denunciare l’intensificarsi di violenza e sfruttamento. Questa ‘normalità’ non ci appartiene”.

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