Tecnis, arrestati Costanzo e Bosco

VIDEO La mappa dei sequestri

VIDEO Il procuratore: "Imprenditori predatori"

Catania: in 4 ai domiciliari per bancarotta fraudolenta e "condotte criminose". Bloccati beni per 94 milioni. FOTO: così funzionava il sistema

CATANIA – La guardia di finanza etnea ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 4 persone indagate per la bancarotta della Tecnis Spa – una delle principali aziende italiane di costruzioni – e di una serie di società controllate, dichiarata dal tribunale di Catania nel giugno del 2017.
Tra i quattro ci sono gli imprenditori Mimmo Costanzo (57 anni) e Concetto Bosco Lo Giudice (56 anni), già ai domiciliari dal 22 ottobre 2015 al 22 marzo del 2016 per corruzione e turbativa nell’ambito di due inchieste della Procura di Roma, ‘Dama nera’ e ‘Dama nera 2’, su presunte tangenti all’Anas.
Gli altri due sono il 55enne Orazio Bosco Lo Giudice, fratello di Concetto e amministratore unico di “ING. PAVESI & C. s.p.a.” negli anni 2010 e 2011 e dal novembre 2016 oltreché amministratore di “INIZIATIVE TURISTICHE s.r.l.” e consigliere nel cda di “SICILIA GOLF RESORT s.r.l.” nonché “OFF-SIDE s.r.l.” nell’anno 2011 (tutte società beneficiarie ingiustificate di flussi finanziari provenienti da Tecnis), e il 58enne Gaspare Di Paola, consapevolmente prestanome a disposizione di Bosco Lo Giudice e Costanzo nonché amministratore unico di “TERNIRIETI S.C.A.R.L.” (dal 2012 al 2017) e “ING. PAVESI & C. s.p.a.” (dal 2012 al 2016).
La Tecnis è stata in amministrazione giudiziaria dal febbraio 2016 al marzo 2017 perché sequestrata nell’ambito di un’inchiesta antimafia della Dda etnea su indagini dei carabinieri del Ros. Il dissequestro era arrivato per la “venuta meno la pericolosità del bene” che, secondo i giudici, era “stato legalizzato” grazie al lavoro dell’amministrazione giudiziaria e della Procura di Catania.
Gli uomini delle Fiamme gialle stanno anche effettuando dei sequestri di beni per un valore complessivo di 94 milioni. Nei confronti dei quattro il gip di Catania ha disposto gli arresti domiciliari.

Secondo le indagini dell’operazione “Arcot” degli uomini della guardia di finanza di Catania e del Nucleo di polizia valutaria, la governance precedente di Tecnis Spa ha messo in atto “ripetute condotte illecite” nella gestione dell’azienda.
Nel proprio sito la società si definisce una “delle realtà più significative nel panorama italiano delle imprese di costruzioni generali, di ingegneria e general contracting, attiva nel settore della realizzazione di grandi opere infrastrutturali”: opere portuali e idrauliche, grande viabilità su gomma e ferro, sistemazioni idrogeologiche, primari interventi di urbanizzazione, edilizia civile, presidi ospedalieri d’interesse nazionale, restauro conservativo di importanti strutture edilizie vincolate dalle sovrintendenze statali.
L’accusa nei confronti dei quattro destinatari della misura cautelare è, in concorso, di bancarotta fraudolenta per distrazione. L’operazione è stata caratterizzata da intercettazioni telefoniche e ambientali, accertamenti bancari e acquisizioni documentali nonché da contributi tecnici qualificati rappresentati dalla relazione sulle cause di insolvenza a firma del commissario straordinario.
L’investigazione dei finanzieri di Catania ha tracciato “le criminose condotte predatorie poste in essere dal management della Tecnis che l’ha spogliata di quasi 100 milioni di euro nel corso di un quadriennio (2011-2014) aggravandone il dissesto e rendendola insolvente. Lo schema fraudolento si è caratterizzato con la concessione da parte di Tecnis di consistenti e vorticosi finanziamenti infragruppo non onerosi diretti alle consorziate; le imprese beneficiarie, a loro volta, anche con movimentazioni bancari realizzate nella stessa giornata, hanno veicolato le liquidità in questione a favore di società estranee al gruppo di riferimento ma sempre dirette, anche con la presenza di prestanome, dal duo Concetto Bosco Lo Giudice-Mimmo Costanzo”.
Il profitto criminale originatosi dalla bancarotta fraudolenta veniva destinato, tra l’altro, alla realizzazione di strutture sportive e ricettive nel settore del turismo golfistico, la cui costruzione, in larga parte, veniva anche affidata alla stessa “depredata”.

Emblematiche sono alcune conversazioni intercettate dai finanzieri che mettono in evidenza il ruolo dominante del duo e della loro prassi di avvalersi di prestanome. In uno sfogo con un uomo non indagato, Di Paola infastidito evidenziava che “… mi hanno sempre trattato solo come un prestanome … io ho lavorato con imprenditori molto più seri di lui e di Mimmo, cioè ma molto più seri che quando l’impresa poi non c’era più, a me pagavano lo stesso…”.
Costanzo e Bosco Lo Giudice risultano ancora oggi operativi sul mercato attraverso la società “AMEC s.r.l.” (costituita alla fine del 2017, con sede a Santa Venerina), ditta di costruzioni generali e di infrastrutture, con un fatturato annuo dichiarato di 11 milioni di euro).
“La complessa indagine – dicono le Fiamme gialle di Catania – ha dunque consentito di far luce su uno dei dissesti aziendali che più ha impattato sul tessuto economico-sociale del territorio etneo: l’insolvenza di un’azienda strategica gestita dagli amministratori arrestati in dispregio agli obblighi di legge, frodando enti previdenziali e non versando le imposte dovute”.
“Quest’indagine ci ha fornito un quadro probatorio particolarmente consistente che evidenzia l’attività predatoria che è stata compiuta dagli imprenditori che gestivano la Tecnis Spa – ha detto il procuratore della Repubblica Catania Carmelo Zuccaro -. E’ un operazione che evidenzia come imprenditori particolarmente spregiudicati facciano la parte del leone nell’aggiudicarsi appalti pubblici, non solo in Sicilia ma su tutto il territorio nazionale, e giocando sporco riescono a vincere la concorrenza di altri imprenditori meno spregiudicati”.
“Ovviamente questo arreca nell’intero sistema complessivo della gestione degli appalti pubblici un enorme danno – ha osservato Zuccaro – perché imprenditori corretti non riescono ad aggiudicarsi questi appalti”.
“Il problema – ha detto Zuccaro – è che Costanzo voleva perpetuare questo sistema perché, resosi conto che ormai la Tecnis era in una situazione di particolare difficoltà, già aveva cominciato ad aprire un’altra società, la Amec, che stava già cominciando ad aggiudicarsi determinate commesse pubbliche e nella quale i Bosco Lo Giudice e i Costanzo stavano spostando parte della loro attività in modo da perpetuarla nel tempo”.
“Non dimentichiamo che Mimmo Costanzo alcuni anni fa, dopo iniziali reticenze, si decide ad ammettere, che la sua famiglia, il padre e poi lui stesso, direttamente pagavano alla famiglia Santapaola delle somme di denaro anche cospicue, ma assolutamente irrisorie rispetto a quelli che noi riteniamo di essere stati i benefici che ha ricavato da questa protezione che gli veniva accordata”.
Una “particolare avidità” e una “azione plurioffensiva”, così i magistrati hanno definito quanto emerso dall’operazione Arcot. “Di questo denaro che è stato distratto con particolare e candida volontà da parte degli indagati – hanno detto – 90 milioni andavano all’Erario e dovevano essere utilizzati per il bene pubblico e 100 milioni erano dei creditori: imprese e società che per un effetto domino probabilmente a loro volta potranno fallire o avranno danni a catena che non si possono oggi quantificare”.
“In questo modo si creano dei fondi neri. In buona parte verranno utilizzati da coloro che li hanno creati per benefici personali, ma in altrettanta parte verranno utilizzati per corrompere, per pagare la criminalità organizzata”. I magistrati hanno ricordato come la distrazione è sia avvenuta tra il 2011 e il 2014 e il coinvolgimento della Tecnis nell’indagine “Dama nera”: “Il denaro che viene messo da parte è denaro – hanno sottolineato – che si ritorce contro la collettività a ogni livello, anche come elemento di corruzione”.
“Questi soggetti, che avevano un portafoglio di commesse di 700 milioni di euro, che avevano 600 dipendenti, non sarebbero mai entrati in crisi se non avessero svolto un’attività predatoria così forte. Né, d’altra parte, avrebbero potuto ottenere questi grandi risultati, visto che la qualità dei lavori da loro svolti non era certamente pregevole, se non avessero potuto contare su favori illeciti. Questo è un ragionamento di carattere generale e non può essere oggetto di maggiori puntualizzazioni”.
“Non vi è dubbio che questo modo di procedere predatorio nei confronti delle propria aziende – ha concluso – in realtà nascondeva anche la necessità di alimentare la corruzione e di ottenere indebiti vantaggi dai rapporti con l’associazione mafiosa. Però questo non è direttamente l’oggetto di questo procedimento”.

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