Depistaggio Borsellino, parla ex pm Petralia: “Mai imbeccato il pentito Scarantino”

L'ex procuratore che indagò sulla strage di via d'Amelio citato nel processo in corso a Caltanissetta

PALERMO – Si difende parlando di equivoco generato dai media. Nega di aver mai imbeccato Vincenzo Scarantino, ma i “non ricordo” e “non so spiegare” sono molti. A Caltanissetta, dove è in corso il processo per il depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio oggi è la giornata di Carmelo Petralia, ex pm del pool che indagò sulle stragi mafiose del 1992, attualmente procuratore aggiunto a Catania.
Al dibattimento che vede imputati di calunnia aggravata tre poliziotti del gruppo investigativo che condusse le indagini sull’attentato a Borsellino, accusati di aver creato a tavolino falsi pentiti come Scarantino, Petralia parla da teste assistito. Potrebbe non rispondere perché da mesi i pm di Messina lo indagano per capire se abbia avuto un ruolo nel depistaggio contestato ai tre poliziotti, ma sceglie di parlare. Per legge è la Città dello Stretto a indagare sui fatti che riguardano i magistrati in servizio negli uffici giudiziari etnei: accertamenti ancora non conclusi che si intrecciano col processo in corso a Caltanissetta. E proprio dal lavoro della procura di Messina spunta la telefonata, oggi oggetto di parte della deposizione, in cui Petralia, parlando con Scarantino, accenna alla “preparazione” dell’esame che questi avrebbe dovuto rendere davanti ai giudizi.
“Il termine è stato equivocato facilmente dai media che hanno parlato di manipolazione. – spiega rispondendo alle domande del pm Stefano Luciani – Semplicemente era riferito a una serie di indicazioni su come comportarsi in dibattimento che volevo dare a Scarantino. Cioè volevo indicargli una sorta di codice comportamentale che ogni buon collaboratore di giustizia deve osservare per essere efficace”.
Come aveva fatto la collega Anna Palma, anche lei indagata a Messina per il depistaggio, Petralia nega di aver mai sospettato che Scarantino mentisse. “Oggi è relativamente facile cogliere le criticità di quell’indagine. – dice – Ma allora c’erano i poliziotti che portavano elementi che avevano suscettibilità di sviluppo investigativo. Loro ci credevano e io non avevo gli strumenti per pensare a una malafede”. Eppure elementi che potessero ingenerare dubbi sul collaboratore e sulla sua genuinità ce ne erano già da allora. Come, il 10 ottobre del 1994, sottolineò in una nota pesantissima l’ex pm Ilda Boccassini, collega di Petralia nel pool che indagava sulle stragi.
Pagine piene di critiche sulla gestione del pentito, poi rivelatosi falso, inviti a riscontrare le sue dichiarazioni sentendo altri collaboratori di giustizia “rispettando però le norme del codice”, scriveva Boccassini. “Mai letta la nota”, replica Petralia “anche perché gli interrogatori li ho fatti sempre rispettando la legge”. Il pm gli contesta relazioni di servizio tardive (“ha ragione pubblico ministero, non so spiegarle come mai”, replica il teste) e, al contrario, una singolare tempestività nel convocare Scarantino per chiedergli conto di una ritrattazione televisiva quando ancora la trasmissione non era andata in onda.
“Chi l’aveva avvertita della retromarcia di Scarantino visto che ancora non era apparsa in tv?”, gli chiede il pm. “Non ricordo, forse i colleghi”, risponde lui. “Fu lei a far cancellare la registrazione della trasmissione?”, insiste. “Non sapevo fosse stata distrutta, io mi sono limitato al sequestro”. E nel corso della lunga deposizione spunta anche un pranzo. Tra i commensali di Petralia c’era anche l’ex numero due del Sisde Bruno Contrada, poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Petralia sapeva, lo racconta lui stesso, che il giudice Falcone non si fidava di Contrada, “ma in quel periodo tutti collaboravano alle indagini, anche i Servizi. E i rapporti con loro li gestiva il procuratore”, racconta. Ma nonostante dubbi e diffidenze a quel pranzo all’hotel San Michele di Caltanissetta parteciparono tutti.

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