Palermo, suicida ex capo ufficio gip Vincenti

Era indagato per corruzione nell'inchiesta su Zamparini

PALERMO – Da giorni viveva in una condizione di smarrimento. Il disagio esistenziale covava sotto traccia e oggi è giunto al suo epilogo fatale. Il giudice Cesare Vincenti, fino a cinque mesi fa capo dell’ufficio del gip a Palermo, è salito al quinto piano dell’edificio in cui abitava, in via Mario Rapisardi, ha scavalcato la finestra delle scale che dà su un cortile interno del palazzo e si è lanciato nel vuoto. Nella decisione di togliersi la vita, che il suo legale attribuisce a uno stato di depressione, avrebbe avuto un peso anche l’inchiesta in cui era coinvolto.
In un filone dell’indagine sulla Palermo calcio di Maurizio Zamparini la Procura di Caltanissetta procedeva nei confronti di Vincenti per rivelazione di notizie riservate e corruzione. Per corruzione è indagato anche il figlio Andrea, che è un avvocato. Vincenti aveva saputo di essere sotto inchiesta nel giugno scorso quando la guardia di finanza aveva perquisito la sua casa e il suo studio a palazzo di giustizia una settimana prima che lui andasse in pensione.
E alla cerimonia di commiato, che si svolge come di consueto al Palazzo di Giustizia, due settimane fa si erano presentati alcuni avvocati, il personale amministrativo e un solo magistrato che aveva giustificato l’assenza dei colleghi spiegando che erano tutti impegnati. Quel giorno Vincenti aveva così aggiunto una dose di amarezza all’imbarazzo della condizione di indagato. Il caso ha qualche analogia con quello di Domenico Signorino, uno dei pm del maxiprocesso a Cosa nostra morto suicida il 3 dicembre 1992. Ma Signorino era indagato per mafia. Vincenti era invece sospettato di avere fatto sapere a Giovanni Giammarva, allora presidente della Palermo calcio, che per il patron della società rosanero Maurizio Zamparini era stato chiesto l’arresto per reati societari.
Subito dopo Giammarva avrebbe informato Zamparini che si era affrettato a lasciare ogni incarico nella società. E questa mossa gli aveva risparmiato le manette: l’ufficio del gip non aveva accolto infatti la richiesta di arresto perché con le dimissioni erano venute meno le ragioni cautelari. Il prezzo della presunta corruzione sarebbe stato, secondo i magistrati di Caltanissetta, un incarico che Zamparini avrebbe affidato al figlio del giudice, Andrea: componente del comitato etico della società. Ma con l’inchiesta sulla società, aveva sostenuto il giovane, non c’era alcun collegamento. E anzi con il padre ne avrebbe parlato solo “a cose fatte”.
Cesare Vincenti era conosciuto al Palazzo di Giustizia di Palermo come un magistrato equilibrato e corretto. La camera penale, in una nota, lo ricorda “avendone apprezzato il tratto signorile e il ruolo di terzietà del giudice”.

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