“Papà, penso io a Rachele. Poi l’inferno”

Giuseppe Giordano, scampato alla tragedia di Casteldaccia: "L'acqua mi ha tolto tutto, mio figlio è morto da eroe". VIDEO

I vicini di casa: "Siamo scappati in pigiama" (VD)

PALERMO – Lo sguardo perduto nel vuoto e il volto distrutto dal dolore. Giuseppe Giordano, 35 anni, non riesce più né a piangere né a parlare. La massa d’acqua che si è abbattuta sulla villetta di Casteldaccia gli ha portato via in un istante la moglie Stefania, un figlio di 15 anni e una di un anno, i genitori, la sorella Monia, il fratello Marco, un nipote di appena tre anni.
Dopo la lunga notte di una tragedia infinita davanti all’obitorio del Policlinico raccoglie scampoli di affetto da altri parenti e da tanti amici. Giuseppe, che è un rivenditore di moto e attrezzatura per motociclisti a Palermo, è avvolto in un piumino bordeaux, sprofondato in una sedia. Attorno a lui un silenzio irreale, un dolore composto e il racconto sottovoce della furia sterminatrice dell’acqua.
In quella villetta abusiva, Giuseppe Giordano aveva radunato due famiglie per festeggiare il compleanno di una nipote: due giorni di pranzetti, cene e karaoke con nonni, zii, cognati, nipoti, fratelli, sorelle. All’improvviso, in una serata di spensierata allegria, Giuseppe si accorge che l’acqua sta inondando la casa.
“Le vetrate diventano scure, la luce si spegne, sul pavimento si muove uno strato di fango. Ci spostiamo nell’altra stanza. Mio figlio Federico mi rassicura: papà, penso io a Rachele, e prende in braccio la sorellina. Andiamo via, andiamo via, dico. Ora penso che mio figlio era un eroe”.

E intanto vede crescere con terrore il livello dell’acqua e del pericolo. Prende le chiavi dell’auto e si inoltra su quella che pensa sia la via di salvezza. Ma, appena apre la porta, è investito da una valanga di acqua e fango. Un gorgo violento prima lo inghiotte poi, con il riflusso, lo scaraventa fuori. “Con la forza della disperazione mi sono aggrappato a un albero. E così sono sopravvissuto”, racconta con un filo di voce.
Una vicina di casa, Maria Concetta Alfano, intuisce quel che sta accadendo. “Sono corsa – racconta – da mio marito, già in pigiama. Insieme ci siamo caricati nostra figlia che non può muoversi e siamo scappati via”. Quasi incrociano, lungo la stradella che porta alla villetta della tragedia, il cognato di Giuseppe Giordano, Luca Rughoo. I dolci erano quasi finiti e lui era andato a prenderne altri in pasticceria portandosi dietro la figlia Emanuela e la nipote Asia.
Altri tre parenti (padre, madre e figlio di sei mesi) erano andati via dopo il pranzo perché lui aveva un impegno di lavoro. “Siamo salvi per miracolo”, ripete quasi incredula Clara Alongi, cognata di Giordano.
Ignaro di tutto, Luca Rughoo scopre all’improvviso che quella villetta è diventata un inferno. Il cognato è ancora appeso all’albero. La casa è piena di cadaveri. E perde la testa quando scopre che anche il figlioletto è morto. Impreca contro il cielo: “Era bellissimo. Era il mio cuore”.
Lascia la nipote Asia davanti al cancello e scompare trascinandosi dietro la figlia Emanuela. Per tutta la notte vagherà senza una meta. Davanti all’obitorio ora c’è anche la piccola Asia Giordano, 11 anni, un volto smarrito e un ricordo paralizzante: “E’ stato terribile”.

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