L’ex pm arrestato: “Complotto”

Siracusa. Longo avrebbe depositato una memoria difensiva in cui accusa gli otto ex colleghi della procura di aver fatto di tutto per danneggiarlo

PALERMO – “Soggetti portatori di specifici interessi economici e imprenditoriali dimostrano una preoccupante attitudine a orientare a proprio favore l’azione della Procura, rendendo fondato il timore che parte dell’ambiente giudiziario non sia immune a tale forza d’infiltrazione”: il quadro disegnato dagli otto pm di Siracusa due anni fa era inquietante.
Nell’ufficio della Procura, già due anni fa, tutti sapevano. Tanto da decidere di raccontare in un esposto il “groviglio” di interessi che legava l’ex pm Giancarlo Longo a imprenditori e avvocati di peso. Un castello di accuse puntualmente riscontrato dai magistrati di Messina che hanno disvelato corruzioni e malaffare che proprio nell’ufficio inquirente avevano messo radici. Quindici gli arresti, tra carcere e domiciliari: e in cella è finito anche Longo che domani sarà interrogato dal gip nel carcere di Poggioreale.
Secondo l’accusa, che gli contesta il falso, la corruzione e l’associazione a delinquere, in cambio di soldi avrebbe pilotato procedimenti penali in favore dei clienti di riguardo di due legali siracusani: Piero Amara, anche lui arrestato, avvocato dell’Eni, e Giuseppe Calafiore, socio di Amara riuscito a sfuggire alla cattura e latitante a Dubai. I favori del pm, ora trasferito al tribunale di Napoli, sarebbero stati ricompensati con 88mila euro e vacanze di lusso negli Emirati e in un hotel a 5 stelle di Caserta.
“Il mio cliente risponderà a tutte le domande”, fa sapere il difensore di Longo, l’avvocato Candido Bonaventura. Sospettando da tempo di essere finito nel mirino degli inquirenti tanto da aver dato la caccia alle microspie, che l’hanno puntualmente ripreso, Longo ha depositato nelle scorse settimane una memoria difensiva in cui accusa gli otto ex colleghi pm di aver ordito un complotto tutto per danneggiarlo. “Abbiamo dimostrato attraverso una consulenza che però non è stata tenuta in considerazione dalla Procura di Messina – dice il suo legale – che i soldi depositati sul suo conto erano regali dei suoceri. Bastava confrontare i movimenti bancari da loro fatti”.
Una difesa a cui il gip non ha creduto e che sarebbe confutata dai prelievi fatti da Calafiore e da un altro personaggio coinvolto, Fabrizio Centofanti. Le somme ritirate corrisponderebbero a quelle versate sui suoi conti dall’ex pm. Ma mentre i colleghi scrivevano l’esposto, cosa faceva il capo dell’ufficio, il procuratore Paolo Giordano, nominato al posto di un altro pm coinvolto in una inchiesta per abuso d’ufficio e poi condannato?
“Ho sempre collaborato con l’autorità giudiziaria di Messina alla quale ho trasmesso tutte le segnalazioni e gli atti richiesti come pure ho fatto segnalazioni ai titolari dell’azione disciplinare”, si difende il magistrato che, però, per il caso Longo si ritrova davanti alla commissione del Csm che si occupa dei trasferimenti per incompatibilità ambientale. Dall’inchiesta, che si intreccia con una indagine della Procura di Roma su alcuni personaggi comuni e che ha accertato una serie di sentenze pilotare al Consiglio di Stato, emerge intanto una lunghissima serie di procedimenti “pilotati” da Longo. Dal caso Eni, in cui l’ex pm avrebbe avrebbe contribuito a creare una sorta di falso complotto per depistare l’indagine milanese su una corruzione internazionale a carico dell’ad De Scalzi, ai fascicoli sugli imprenditori Frontino, clienti e vicini all’avvocato Calafiore.
Per “proteggerli” Longo avrebbe estromesso la polizia giudiziaria e incaricato consulenti compiacenti, come l’ingegnere Mauro Verace, anche lui indagato, in modo da avere relazioni tecniche favorevoli ai Frontino coinvolti in diversi procedimenti. E ancora avrebbe cercato di costruire un castello accusatorio contro dirigenti comunali che, in una causa degli imprenditori contro il Comune di Siracusa per un risarcimento del danno da ritardata concessione edilizia, avevano dato torto alla loro società.
In alcuni casi poi avrebbe aperto fascicoli ad hoc per farvi confluire false consulenze che avrebbero poi scagionato i Frontino: come nel caso di un fascicolo avviato contestualmente a un accertamento fiscale aperto sugli imprenditori dall’Agenzia delle Entrate. Una gestione a dir poco personalistica della giustizia che, dicono gli inquirenti, veniva riservata, tra gli altri, anche all’impresa Cisma coinvolta in una inchiesta su reati ambientali.

scroll to top