Il monopolio del clan su trasporto e imballaggi dell’ortofrutta

Siracusa. Il comparto sarebbe stato totalmente in mano ai Trigila: 13 misure cautelari I NOMI - VIDEO

SIRACUSA – Un controllo totale nella realizzazione di pedane e imballaggi, nella produzione e commercio di prodotti caseari, e nel trasporto su gomma di prodotti orto-frutticoli. Nella zona sud della provincia di Siracusa, tra Noto, Avola, Pachino e Rosolini, l’intero comparto era sotto il monopolio dal clan Trigila. E’ l’accusa contestata dalla Dda della Procura di Catania nell’ambito dell’inchiesta Robin Hood.
Polizia, carabinieri e guardia di finanza di Siracusa hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 11 persone ritenute organiche alla cosca di altri due indagati per estorsione aggravata dal metodo mafioso. L’indagine, partita nel 2016, è durata circa 20 mesi.
L’ORGANIZZAZIONE. Secondo la Dda etnea nonostante la lunga detenzione di Antonio Giuseppe Trigila, 70 anni, e del figlio Giuseppe, di 47, il clan avrebbe continuato ad operare grazie alla moglie Nunziatina Bianca, 64 anni, e alla figlia Angela, 45. Il boss dal carcere riusciva ad impartire disposizioni durante i colloqui con i familiari utilizzando un linguaggio criptico convenzionale. Così come ricostruito dalla polizia, il clan Trigila agiva “ricorrendo a un modus operandi consolidato nel tempo: aziende capaci di alterare le regole della concorrenza e di acquisire una posizione dominante grazie al loro nome”.
Le donne veicolavano gli ordini per l’organizzazione e la gestione delle attività, ma intervenivano anche in prima persona “quando si rendeva necessario utilizzare la valenza evocativa promanante dal rapporto di coniugio”. Attorno a loro vi era un nutrito numero di fiancheggiatori e facilitatori che veicolavano le informazioni e fissavano gli appuntamenti tra i sodali. Alla base del gruppo, alcuni soggetti con mansioni “esecutive” che si occupavano delle attività illecite, quali le azioni intimidatorie, violente e le richieste estorsive.
Le misure cautelari a carico di Antonio Trigila, Giuseppe Crispino, Giuseppe Trigila sono state eseguite dai poliziotti della squadra mobile di Siracusa con i loro colleghi de L’Aquila, Terni ed Ancona. Il reparto operativo dei carabinieri è stato delegato ad eseguire la misura cautelare a carico di Giuseppe Caruso già attenzionato in un’attività di indagine sul controllo a scopo estorsivo dei trasporti su gomma. Le Fiamme gialle hanno eseguito il sequestro preventivo di 18 mila 171 euro a Nunziatina Bianca quale profitto del reato di truffa aggravata finalizzata al conseguimento di erogazioni pubbliche.
LE INDAGINI. Nonostante la lunga detenzione sofferta, a 70 anni Antonio Giuseppe Trigila, secondo l’accusa della Dda della Procura di Catania, continuava a dirigere l’omonimo clan siracusano dal carcere, duranti i colloqui con familiari. “Estremamente significativa – sottolineano i magistrati parlando dell’operazione Robin Hood – era la spiegazione che lo stesso esponente mafioso forniva a una nipote, della sua attività delinquenziale: ‘Loro dicono per mafiosità, invece io sono un contrasto dello Stato!…che cosa significa contrasto dello Stato?” .

Tra i soggetti in posizione apicale nel clan è collocato Giuseppe Crispino, 43 anni, ritenuto dalla Dda di Catania il “reggente in libertà del sodalizio” e al quale, fino all’arresto avvenuto nel luglio 2018, era stata affidata la raccolta dei proventi illeciti necessari al sostentamento dell’associazione, il pagamento degli stipendi alle famiglie dei detenuti, la detenzione delle armi e la conduzione di estorsioni e traffico di sostanze stupefacenti. Fu arrestato perché trovato in possesso di 650 grammi di cocaina e di 4 pistole illegalmente detenute: la prova, secondo gli investigatori, di come il sodalizio fosse operativo e detenesse un arsenale cui attingere in caso di necessità.
Uomini di fiducia erano collocati nei comparti ritenuti nevralgici: Giuseppe Caruso, 57 anni di Avola, grazie ai contatti con le aziende di autotrasporti che operavano nella zona sud della provincia e in quella di Ragusa, aveva il compito di raccogliere i versamenti di denaro imposti agli operatori per lavorare senza incorrere in problemi. Tre gli episodi di estorsione contestati. Caruso, con le minacce, avrebbe impedito ai trasportatori di lavorare liberamente in quello che egli stesso definiva il “suo” territorio ovvero costringeva autotrasportatori e aziende ad avvalersi della sua attività di intermediazione o a versargli somme di denaro (“ma chi ve l’ha data questa autorizzazione” – ” io sto prendendo i bins e gli sto dando fuoco ora stesso, subito. E qua non ci deve entrare nessuno, se prima non ve lo dico io, perché il padrone (…) sono io”). Ad Angelo Monaco, 26 anni, nipote di Antonio Trigila, di recente inserimento nell’organigramma mafioso, venivano affidati gli affari relativi all’acquisizione e al controllo dei fondi agricoli.
GLI INDAGATI. Gli indagati sono Antonio Giuseppe Trigila, 70 anni (detenuto); Giuseppe Trigila, 47 anni (sottoposto alla semilibertà); Nunziatina Bianca, 64 anni; Angela Trigila, 45 anni; Giuseppe Trigila, 43 anni; Giuseppe Crispino, 43 anni (detenuto); Giuseppe Caruso, 57 anni; Rosario Agosta, 48 anni; Marcello Boscarino, 46 anni; Francesco De Grande, 62 anni; Emanuele Eroe, 38 anni; Angelo Monaco, 26 anni; Salvatore Porzio, 36 anni.
Il Tribunale del riesame di Catania, in data 3 giugno, ha disposto la revoca della custodia cautelare in carcere per Salvatore Porzio,accusato di avere fatto da tramite per la consegna di denaro illecito tra gli affiliati Giuseppe Caruso e Giuseppe Crispino, in un periodo compreso tra novembre 2017 e maggio 2018. In sede di riesame, l’avvocato Giuseppe Gurrieri, legale di Porzio, ha contestato la sussistenza della gravità indiziaria relativamente all’associazione mafiosa da parte del suo assistito considerato che lo stesso non risulta in altro modo collegato alla partecipazione in concorso delle molteplici attività estorsive attribuite a Giuseppe Caruso, come ai reati riconducibili al clan Trigila. “D’altronde, dalle attività di indagine – rileva l’avvocato Gurrieri – non emerge che Salvatore Porzio sapesse le ragioni degli appuntamenti tra Giuseppe Crispino e Giuseppe Caruso, i quali si incontravano personalmente in sua assenza in tutte le occasioni”.

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