Sanità siciliana, adesso è scontro totale. La Rocca: ‘C’è chi non vuole pazienti Covid’

Parla il dirigente regionale nella bufera per l'audio: "Anche diagnosi inventate per non dare i posti. Vidi reparto vuoto mentre contagiati accanto urlavano"

Non ci sta a passare come quello che ha fatto pressioni sui manager della sanità per “gonfiare” i dati sui posti letto Covid con lo scopo di evitare che la Sicilia finisse in zona arancione.
Così Mario La Rocca, a capo della pianificazione strategica dell’assessorato alla Salute, dà la sua spiegazione sugli audio, inviati in una chat tra super dirigenti, che hanno sollevato un polverone, tanto che il ministro della Sanità Roberto Speranza ha deciso di inviare tecnici e carabinieri del Nas per fare delle verifiche, trovando la piena collaborazione del governo Musumeci.
“Ero incavolato – dice La Rocca  all’Ansa – dicevo ai manager di ospedali e Asp che dovevano applicare il piano della Regione destinando posti letto ai malati Covid ma non lo facevano, non avevano gli attributi per imporsi su alcuni medici”.
E qui la prima stoccata: “Perché la verità è che ci sono medici che si stanno sacrificando dando l’anima in questa emergenza e ci sono quelli che invece non vogliono occuparsi di questi malati per potere continuare a gestire pazienti in intramoenia”.
“Quegli audio – aggiunge – erano uno stimolo ad accelerare l’attivazione dei posti. Percepivo da parte di alcuni manager la scarsa consapevolezza da un lato per l’aumento dei contagi e dall’altro per la crisi economica generale e dunque la necessità di accelerare”.
Due giorni dopo avere inviato i ‘vocali’ (era il 4 novembre), La Rocca, finito l’isolamento per Covid essendo il suo tampone negativo, fa un giro di ospedali a Palermo: “Ho trovato 100 posti in un giorno”. “Pur di non svuotare alcuni reparti, per destinare i posti ai pazienti Covid – accusa il superburocrate – c’è chi ha scritto nelle cartelle cliniche diagnosi inventate, ne ricordo una che parlava di tubercolosi, ma non era vero”.
“Quando andai all’ospedale ‘Cervello’ di Palermo – racconta – vidi che nel pronto soccorso di pediatria c’era una sola bambina che faceva i compiti. Appurai che c’erano 6-7 accessi al giorno in questo reparto che era separato solo da una porta dall’area Covid: da lì mi arrivavano le grida disperate di aiuto dei pazienti Covid. Quella mattina il personale aveva chiesto gli straordinari e non voleva spostarsi di reparto mentre c’era chi aveva bisogno. C’era dunque la possibilità di reperire lì dei posti ma tutto era immobile”.
Il pronto soccorso pediatrico è poi stato destinato al Covid, i piccoli pazienti smistati all’ospedale dei Bambini.

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