Morte dell’ispettore Raciti, i familiari smentiscono l’ipotesi del “fuoco amico”

Il padre e la sorella sentiti dalla Procura di Catania dopo il servizio de Le Iene: "Nessuno ha detto la frase riferita dalla testimone"

CATANIA – Il padre e la sorella di Filippo Raciti hanno “smentito in maniera certa e categorica” alla Procura di Catania di essere stati avvicinati, prima, durante o dopo il funerale del loro familiari da un funzionario di polizia che si sarebbe avvicinato a Nazareno Raciti per “chiedere scusa al padre dell’ispettore perché è stata una manovra errata di un collega” a causarne la morte.
“Nessuno ci ha mai detto quella frase”, hanno detto ai magistrati. La ricostruzione dell’episodio, smentita dai familiari, era stata fatta alla trasmissione Le Iene da una donna, non ripresa a viso scoperto, che si è definita una loro familiare, ma il padre e la sorella dell’ispettore hanno spiegato di “non riconoscere dagli occhi e dal naso” alcuno dei loro parenti.
I congiunti dell’ispettore Raciti sono stati sentiti dalla Procura di Catania che ha aperto un’inchiesta sul contenuto del servizio televisivo andato in onda il 12 dicembre scorso su Italia 1 dopo una relazione ricevuta dalla Digos della questura sull’ipotesi di ‘fuoco amico’ nella morte dell’ispettore Filippo Raciti, deceduto durante scontri allo stadio Angelo Massimino il 2 febbraio del 2007.
Il documento era stato redatto per “informare” la magistratura su “ogni opportuna valutazione sulle circostanze emerse durante il servizio”. La tesi del ‘fuoco amico’, che imputa la morte dell’ispettore all’impatto con una Land Rover della polizia durante gli scontri con gli ultras del Catania, è stata vagliata da diversi Gip, Tribunali del Riesame e nei tre gradi di giudizio del processo ad Antonino Speziale che, con sentenza passato in giudicato, è stato condannato a otto anni e otto mesi di reclusione per omicidio preterintenzionale. Il fine pena è prevista per 15 dicembre prossimo.
A sollevarla in sede di indagine e di giudizio è stato il legale di Speziale, l’avvocato Giuseppe Lipera, che recentemente ha chiesto gli arresti domiciliari per il proprio assistito, detenuto nel carcere di Messina, per gravi motivi di salute. E’ tornato invece in semilibertà poco prima di Natale del 2018, Daniele Natale Micale, 32 anni, l’altro ultrà del Catania condannato a 11 anni per la morte dell’ispettore Raciti dopo avere scontato oltre metà della condanna in carcere a Catania, e ha un residuo pena di meno di 2 anni.

scroll to top