A Catania summit e baciamano: il boss gestiva il clan dai domiciliari

Blitz contro i Bevilacqua, 46 arresti tra Sicilia e Germania: il boss era il delfino di Provenzano, ai domiciliari la devotissima figlia avvocatessa organica alla cosca. Indagato il sindaco di Barrafranca VIDEO

ENNA – Ruota attorno alla famiglia mafiosa dei Bevilacqua l’indagine dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Enna che ha portato all’arresto di 46 persone tra Barrafranca (En), Pietraperzia (En), Catania, Palermo e Wolfsburg in Germania.
Si tratta di soggetti affiliati o contigui alle famiglie mafiose di Barrafranca e Pietraperzia. In particolare Giuseppe Emilio Bevilacqua è stato localizzato e catturato in Germania grazie al supporto del Bka e della polizia tedesca, con il coordinamento operativo dell’Agenzia di polizia europea Europol.
I reati contestati, a vario titolo, sono associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico e allo smercio di stupefacenti, estorsioni, corruzione aggravata dall’avere favorito l’associazione mafiosa, detenzioni di armi e assistenza agli associati.

LO SCENARIO. “Una complessa ordinanza di custodia cautelare” l’ha definita il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone. “In esito agli sviluppi dell’operazione Kaulonia, ma tenuto conto del nuovo contesto che si è creato con la detenzione domiciliare di Raffaele Bevilacqua, rappresentante della famiglia di Barrafranca”.
“Lo scenario – ha detto Bertone – evidenzia come Bevilacqua abbia cercato di ricostruire, e ci sia riuscito, i rapporti. Sono contestate diverse ipotesi come l’associazione mafiosa e l’associazione finalizzate al traffico di stupefacenti, attività che è stata incentivata da Bevilacqua con approvvigionamenti a Catania. Sono stati valutati elementi provenienti da processi storici, come quello ad Andreotti, e dai lavori della Commissione antimafia,; è emerso un quadro ulteriore del ruolo duplice di Bevilacqua come rappresentate politico e come rappresentante mafioso”.
L’INDAGINE. L’indagine è stata avviata nel maggio 2018 successivamente alla concessione del benefico della detenzione domiciliare, per ragioni di salute, a Raffaele Bevilacqua, già condannato per associazione di tipo mafioso nel cosiddetto processo “Leopardo”, che tra la fine degli anni ’80 e i primi anni del 2000 era non solo componente del direttivo della Dc e in strettissimi rapporti con Salvo Lima, ma anche al vertice di Cosa nostra ennese per diretta investitura di Bernardo Provenzano.
Bevilacqua è stato, inoltre, condannato all’ergastolo per essere stato riconosciuto mandante, assieme a Francesco “Ciccio” La Rocca, dell’omicidio di Domenico Calcagno, commesso a Valguarnera Caropepe nel maggio del 2003. L’indagine del Ros ha consentito di documentare come il lungo periodo di detenzione, anche in regime di “carcere duro”, non avesse minimamente fiaccato lo spirito di Bevilacqua il quale, non appena ritrovata la “libertà”, ha ripreso immediatamente la direzione della famiglia mafiosa con il fondamentale apporto dei suoi familiari.
Il suo appartamento di Catania, dove era ai domiciliari, secondo gli investigatori era il crocevia di importanti incontri con altri storici affiliati, primi fra tutti gli uomini d’onore Alessandro Salvaggio e Salvatore Privitelli, nel corso dei quali venivano decise strategie e progettate le azioni da compiere.
IL BACIAMANO. Significativo un episodio: quando Bevilacqua si è presentato davanti a Salvaggio, che non vedeva il suo “capo famiglia” da 15 anni, l’anziano uomo d’onore non ha esitato a baciargli le mani in segno di immutato rispetto. Il carisma del vecchio capomafia era dunque intatto.
Per gli inquirenti nel progetto di riorganizzazione della famiglia mafiosa ordito da Raffaele Bevilacqua hanno assunto un ruolo cardine i suoi figli: Flavio, Alberto e Maria Concetta, quest’ultima avvocato del foro di Enna.
LA FAMIGLIA. Il figlio Flavio, secondo l’inchiesta, era l’interfaccia del padre con il territorio occupandosi di tenere i contatti con gli altri affiliati e di concordare le azioni da intraprendere; Maria Concetta, invece, era solita compiacersi per il “rispetto” che le veniva tributato, e approfittando della sua professione, incontrava nel suo studio legale di Barrafranca (En) gli affiliati ai quali consegnava i pizzini scritti dal genitore con gli ordini da eseguire.
La donna al pari del fratello, per gli investigatori, partecipava alla scelte strategiche del gruppo criminale, organizzava gli incontri nell’abitazione di Catania e, sfruttando il suo ruolo di legale, attuava una serie di manovre volte a evitare il ritorno in carcere del padre.
Per la figlia, finita ai domiciliari, era un orgoglio che un vecchio affiliato al clan avesse fatto il baciamano a suo padre. Scrivono gli inquirenti. “La donna chiedeva con insistenza al congiunto se egli avesse ricevuto l’ossequioso rito del ‘baciamano’. Ottenutane conferma ribatteva, con parole che ci riportano indietro nel tempo, ‘…. e io comunque quando tu muori fra 100 anni io mi auguro…io mi auguro… mi auguro di avere dei figli…che gli devo raccontare tutte queste cose…’.
Parole che, per gli investigatori, dimostrano che la “liturgia mafiosa”, ancora oggi viva, suscitava nell’avvocato Maria Concetta Bevilacqua “orgoglio e complicità col padre, uomo d’onore di Cosa nostra le cui azioni vengono ritenute degne di essere raccontate ai figli quasi fossero gesta eroiche”. E’ in fase di notifica anche un sequestro di beni per un valore di oltre un milione di euro.
A conferma che il tempo e la detenzione non abbiano rescisso il legame con l’organizzazione, gli investigatori hanno documentato come Filippo Milano, storico affiliato alla consorteria di Barrafranca, nel tempo avesse consegnato ai famigliari del suo capo cospicue somme di denaro con le quali, come la moglie del boss Giuseppa ammetteva, aveva provveduto a soddisfare i “piaceri” dei figli, tra cui la festa di laurea di Maria Concetta pagata proprio con il denaro provento di attività illecite.
LA FIGLIA ORGANICA AL CLAN. Tra le figure cardine c’è quella dell’avvocatessa Maria Concetta Bevilacqua, figlia del boss Raffaele, arrestata insieme ai fratelli Flavio Alberto e Giuseppe Emilio. L’avvocatessa è stata per anni il difensore di fiducia del padre. “I colloqui in carcere – ha detto in conferenza stampa il pm Pasquale Pacifico – costituivano un canale per veicolare gli ordini. Peraltro per i difensori non ci sono limiti per i colloqui al 41 bis quindi se si ha una figlia che è anche un difensore i colloqui riparati da intercettazioni possono essere moltissimi”.
Per il pm “la figura di Maria Concetta Bevilacqua è una figura cardine non solo come portavoce ma anche nell’elaborazione delle strategie criminali; un ruolo che è andato ben oltre il ruolo di correttezza dell’avvocato”. Il magistrato ha sottolineato che “alcuni indagati quando ricevevano dai figli di Bevilacqua dei pizzini provenienti dal padre non si accontentavano di questo ma si recavano nello studio dell’avvocato e lo leggevano in sua presenza per ottenere una sorta di validazione a quelle che erano le direttive del genitore”.
“C’è un’intercettazione significativa dove l’avvocatessa ha detto senza mezzi termini al padre: ‘Io i tuoi ordini li cambio perché se tu sei ai domiciliari ti ci ho fatto arrivare io’. Nello specifico – ha sostenuto il pm Pacifico – si parlava di un fatto grave, il genitore aveva in proposito di organizzare un omicidio e la figlia avutane contezza subito dopo reagisce in malo modo nei confronti del padre perché riteneva che la commissione di un omicidio dopo che era stato scarcerato da 5 mesi avrebbe attirato su di loro la lente investigativa”.
IL SINDACO DI BARRAFRANCA. Un avviso di garanzia è stato notificato al sindaco di Barrafranca (En), Fabio Accardi, indagato per tentativo di corruzione con l’aggravante mafiosa, mentre un funzionario del comune è ai domiciliari. “L’indagine è paradigmatica di quello che è l’agire mafioso con rapporti collusivi con la pubblica amministrazione – ha rivelato il comandante del Ros, generale di divisione Pasquale Angelosanto – In particolare all’Ati che si era aggiudicata la gara per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani era stato imposto di affittare un terreno dove ricoverare i mezzi dell’azienda. Terreno di proprietà di uno degli associati che quindi era garantito, perché nessuno poteva porre in essere azioni ostili nei confronti dei mezzi e dei dipendenti, e al tempo stesso c’era un regolare contratto di locazione che veniva regolarmente pagato mese per mese con bonifici bancari. Quindi ci sono anche tracce in questo senso”.
Per il comandente del Ros “il territorio di Barrafranca ed Enna è stato al centro negli ultimi anni di fatti di sangue e delitti che danno l’idea e la consistenza della fibrillazione mafiosa che opera ed è percepibile nel territorio”.

scroll to top