Covid, così la Sicilia ha fatto argine

Report dell'Università di Palermo analizza i motivi della diffusione inferiore del virus rispetto alle altre regioni

PALERMO – “Sin dall’inizio dell’epidemia di Sars-cov-2 in Italia, dal confronto con i dati relativi alle altre regioni e province autonome (rapportati a 100 mila abitanti), emerge per la Sicilia e in generale per le regioni del Mezzogiorno un impatto più contenuto della diffusione del contagio e dei tassi di letalità”.
Lo sottolinea il report della Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università degli Studi di Palermo e del Laboratorio di Riferimento Regionale per la diagnostica molecolare del virus del Policlinico Universitario “Paolo Giaccone”.
Dall’inizio dei controlli, i tamponi effettuati in Sicilia sono 68.251 (+3.086 rispetto a ieri), su 64.892 persone: di queste sono risultate positive 3.020 (+39), mentre attualmente sono ancora contagiate 2.272 (-48), 524 sono guarite (+81, di cui 24 ricoverati e 57 in isolamento domiciliare) e 224 decedute (+6).
La Sicilia è in rapporto alla popolazione residente, la seconda regione con il minor numero di tamponi positivi: 58 ogni 100 mila abitanti (meglio soltanto la Calabria con 54,8). Il dato medio nazionale è pari a 311 positivi ogni 100 mila abitanti, e nelle regioni più colpite si superano i 500 positivi ogni 100 mila abitanti come ad esempio: Valle d’Aosta 873,9; Lombardia 684,9; Provincia Autonoma di Trento 672,3″, prosegue l’analisi.
“Sicuramente un ruolo determinante – proseguono i docenti – ha avuto l’iniziale diffusione del coronavirus nelle Regioni del Nord Italia ma di certo le misure del Dpcm dell’8 Marzo 2020 ci hanno permesso di contenere notevolmente i danni e magari, tra qualche settimana di vincere la battaglia”.
L’11 Marzo 2020 il numero totale dei casi positivi nell’intera Isola ammontava a 83, un numero apparentemente insignificante se confrontato con i 3020 di oggi. “Di certo i numeri non sarebbero stati questi se non si fosse intervenuto in tempo con le misure di distanziamento sociale e chiusura delle attività imposta delle ordinanze del governo nazionale e regionale”, sottolinea il report.
L’11 marzo, mentre l’Oms dichiarava lo stato di pandemia e in Italia entrava in vigore il Dpcm che estendeva le misure di contenimento a tutto il territorio nazionale, la diffusione del virus in Sicilia era ancora contenuta: “Ciò ha permesso di confinare precocemente i focolai e un più efficace controllo nella gestione dell’epidemia risparmiandoci gli scenari drammatici che si sono verificati nelle regioni del Nord Italia”, osservano i medici.
E aggiungono: “Un vantaggio temporale non indifferente che ci ha permesso di riconvertire per tempo interi reparti all’assistenza dei soggetti covid+ e di non sovraccaricare le terapie intensive che hanno potuto continuare a prendersi cura di altri pazienti”.
“Nonostante la precocità degli interventi siciliani i laboratori reclutati per l’analisi dei tamponi oro-faringei hanno attraversato momenti vicini al collasso. – sostiene il report -. Ad oggi, grazie all’estensione della rete di laboratori a livello regionale e grazie all’inizio della sorveglianza sierologica non si assiste più anche nei grandi comuni e province siciliani a ritardi nella catena di richiesta, prelievo e analisi dei campioni che in certi momenti, a causa di una domanda a volte nettamente superiore rispetto alle risorse disponibili, erano stati consistenti”.
“Fin da subito in Sicilia è stata abbracciata una linea più rigida rispetto al resto d’Italia con ulteriori ordinanze emanate dal presidente della Regione”, affermano gli autori del report Livia Maria Amato, Stefania Candiloro e Claudio Costantino.

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