Appello: dissequestrati i beni di Ciancio

I giudici di Catania: "Non è provato alcun attivo e consapevole contributo in favore di Cosa nostra". Nel provvedimento inclusi giornali e tv. I legali: "Affrontati tutti i temi, chiuso doloroso calvario"

CATANIA – La Corte d’appello di Catania ha disposto il dissequestro di tutti i beni dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo che era stato disposto dalla sezione Misure di prevenzione del tribunale.
Tra le motivazioni dei giudici di secondo grado anche la “mancanza di pericolosità sociale” dell’editore e imprenditore. Tra i beni dissequestrati anche le società che controllano i quotidiani La Sicilia e Gazzetta del Mezzogiorno e le emittenti televisive Antenna Sicilia e Telecolor.
Secondo la Corte d’appello di Catania il decreto impugnato “va conseguentemente annullato” perché, scrivono i giudici nelle 113 pagine della sentenza motivata, “non può ritenersi provata l’esistenza di alcun attivo e consapevole contributo arrecato da Ciancio Sanfilippo in favore di Cosa nostra catanese”.
Inoltre “non può ritenersi provata alcuna forma di pericolosità sociale” né “è risultata accertata e provata alcuna sproporzione tra i redditi di provenienza legittima di cui il preposto il suo nucleo familiare potevano disporre la liquidità utilizzate nel corso del tempo”.
“Con l’articolato provvedimento di quasi 120 pagine – in una nota i legali dell’imprenditore ed editore, gli avvocati Carmelo Peluso e Francesco Colotti – la Corte catanese ha affrontato tutti i temi del ‘processo Ciancio’, dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia alle compravendite dei terreni sui quali sono sorti o sarebbero dovuti sorgere alcuni centri commerciali. La Corte ha affrontato punto per punto tutti i temi trattati nel decreto del Tribunale e i relativi motivi di impugnazione proposti dai difensori, concludendo che ‘non può ritenersi provata l’esistenza di alcun fattivo e consapevole contributo arrecato da Ciancio Sanfilippo in favore di Cosa Nostra catanese’. Conseguentemente i giudici di appello hanno affermato che non sussiste alcuna forma di pericolosità sociale che possa consentire l’applicazione di una misura di prevenzione, né personale, né patrimoniale”.
“Con il provvedimento adottato oggi – osserva il collegio di difesa – la Corte di Appello chiude il lungo e doloroso calvario della misura di prevenzione nei confronti di uno dei più noti imprenditori siciliani, confermando la validità di tutte le argomentazioni difensive da sempre sostenute dagli avvocati Carmelo Peluso e Francesco Colotti, soprattutto nella parte in cui è stato escluso che Mario Ciancio abbia dato alcun ‘contributo fattivo alle attività e allo sviluppo del sodalizio criminoso’. Con la pronuncia sulla inesistenza di una sperequazione tra i redditi conseguiti e il patrimonio della famiglia Ciancio la Corte ha censurato anche il presupposto su cui il Tribunale aveva fondato la confisca dei beni, confermando la validità della minuziosa opera di ricostruzione reddituale e le puntuali osservazioni contenute nella consulenza tecnica del dottor Giuseppe Giuffrida, validamente collaborato dal dottore Fabio Franchina”.

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