Madre e due figli uccisero marito-padrone: condannati a 14 anni di carcere ciascuno

Palermo. L'omicidio di Pietro Ferrera nel 2018 dopo l'ennesima lite violenta con la moglie: il giudice ha escluso l'aggravante della crudeltà

PALERMO – Il delitto fu l’epilogo di una vita di soprusi e violenze subite. Lunghi anni di terrore che si conclusero con l’assassinio liberatorio di quello che consideravano un “padre-padrone”. Il gup del tribunale di Palermo, Guglielmo Nicastro, ha condannato a 14 anni di carcere ciascuno Salvatrice Spataro, 47 anni, detta Ilenia, e i figli Vittorio e Mario Ferrera, di 23 e 22 anni imputati dell’omicidio di Pietro Ferrera, 45 anni, marito della donna e padre degli altri due.
L’uomo fu ucciso a Palermo con 57 coltellate la sera del 14 dicembre 2018, al culmine dell’ennesima lite con la moglie, da lui picchiata e maltrattata così come i figli. Il giudice ha escluso l’aggravante della crudeltà. Salvatrice Spataro e i figli hanno fruito, oltre che delle attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle aggravanti, anche dello sconto di pena legato al rito abbreviato, che prevede la riduzione di un terzo punto la richiesta dei pm Giulia Beux e Gianluca De Leo era stata proprio di 14 anni.
Decisive nel processo non solo le versioni dei tre imputati ma anche le testimonianze raccolte dalla squadra mobile, che ha condottole indagini, tra amici, parenti, vicini, conoscenti. Non era contestata l’aggravante della premeditazione, che avrebbe pure potuto portare all’ergastolo, mentre era emerso nitido il clima di terrore instaurato da Piero Ferrera, in casa propria, con le violenze, i soprusi fisici e morali nei confronti dei figli, anche sessuali ai danni della moglie. Il delitto avvenne nella tarda serata del 14 dicembre: fu l’epilogo di una storia familiare fatta di sofferenze, soprusi, umiliazioni, violenze. Fu Ilenia Spataro a chiamare il 118, ma per il figlio Vittorio, che si era ferito a una mano, di straforo. Il gup ha ridotto la pena, condividendo la tesi e la richiesta dei pm. Mentre gli avvocati Giovanni Castronovo e Simona La Verde avevano sostenuto la tesi della legittima difesa.
I tre imputati si trovano agli arresti domiciliari, dopo che il tribunale del riesame ha riconosciuto la loro condizione di persone continuamente vessate da un padre -padrone vittima anche di “se stesso, di una vita trascorsa fra esercito, idee estreme, problemi psichici, fobie, manie di tipo sessuale e imposizioni continue alla moglie e ai due figli più grandi”. Vittime indirette anche altri due figli, che sono ancor oggi minorenni, e ai quali il tribunale dei minori ha assegnato un curatore speciale, l’avvocato Monica Genovese, costituita parte civile contro i fratelli e la mamma dei ragazzini.
Il giudice ha assegnato ai due un risarcimento, da liquidare in sede civile. Ma intanto ha privato la Spataro dell’esercizio della responsabilità genitoriale durante l’espiazione della pena. E infine, dopo che i tre (interdetti in perpetuo dai pubblici uffici) finiranno di scontare la condanna, saranno sottoposti alla libertà vigilata per non meno di tre anni. Alla fine la tesi difensiva, in gran parte condivisa e anzi sostenuta in prima battuta dalla stessa Procura, è risultata quella prevalente. Ilenia aveva scritto un memoriale con cui aveva ricostruito la propria vita definita “d’inferno” al fianco al marito.
Ferrera si era reinventato prima macellaio- e da qui il possesso, in famiglia, dei coltelli trasformati in armi del delitto e che ieri il Gup ha ordinato di distruggere – e poi aveva iniziato a gestire un bar. La mattina prima dell’omicidio, dopo una serie di consultazioni familiari, Ilenia e i figli decisero di denunciare il loro congiunto.
Al commissariato Brancaccio andarono però Vittorio e Mario con un parente, ma gli agenti dissero che sarebbe dovuta andare personalmente la madre, per formalizzare la denuncia. A quel punto scattò il timore che Ferrera scoprisse la richiesta di aiuto avanzata alle forze dell’ordine. Una perizia psichiatrica aveva confermato che la donna aveva agito “in un crescente stato di angoscia, determinato dalla paura delle conseguenze della denuncia”.

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