Ex pentiti ricostruirono clan: arrestati

In 5 sono tornati a Messina, si sono armati e hanno ripreso il controllo del territorio dedicandosi a estorsioni e traffico di droga. Altri 9 in manette. I NOMI E LE FOTO - VIDEO

MESSINA – Sono tornati a Messina, hanno ricostruito la cosca, si sono armati e hanno ripreso il controllo del territorio dedicandosi agli affari illeciti di sempre: estorsioni e traffico di droga. Scoperti dalla Polizia, oggi sono stati arrestati cinque ex pentiti della mafia messinese. L’inchiesta è stata condotta dalla Squadra mobile e coordinata dalla Dda di Messina, guidata da Maurizio de Lucia.
L’inchiesta, che ha portato in tutto a 14 misure cautelari – 13 in carcere e una agli arresti domiciliari – è nata un anno fa quando la Polizia ha scoperto che un gruppo di ex pentiti messinesi, protagonisti di spicco dei clan negli anni ’80 e ’90, erano tornati in città dopo aver espiato la pena e aver concluso il percorso di collaborazione con gli inquirenti.
A Messina gli ex collaboratori di giustizia hanno dato vita a una cellula di Cosa nostra con l’obiettivo di riconquistare il territorio e tornare al potere. Intercettazioni, pedinamenti e analisi dei traffici telefonici hanno accertato l’esistenza di due organizzazioni criminali, una di tipo mafioso, l’altra con il principale scopo di trafficare in droga, legate tra loro da interessi illeciti comuni.

Alcuni componenti della cosca mafiosa facevano parte anche dell’organizzazione criminale di trafficanti di droga. Le organizzazioni “sorelle” avevano assunto un ruolo negli ambienti criminali tale da incidere sulle dinamiche del malaffare messinese. Per decidere gli affari gli associati si incontravano in un ristorante del centro, gestito da uno degli ex pentiti.
Alcuni degli indagati sono stati protagonisti di un’estorsione nei confronti del titolare di un’associazione sportiva e culturale messinese costretto a versare parte della propria liquidazione e minacciato perché lasciasse la carica. L’inchiesta ha accertato decine di episodi di spaccio di droga. Le organizzazioni criminali, inoltre, avevano la disponibilità di grossi quantitativi di armi.

Gli arrestati dalla Squadra Mobile di Messina guidata da Antonio Sfamemi sono gli ex pentiti Nicola Galletta, Pasquale Pietropaolo, Salvatore Bonaffini, Gaetano Barbera. In cella anche Cosimo Maceli, factotum di Galletta, e Vincenzo Barbera, fratello di Gaetano. Sono tutti accusati di associazione mafiosa. Al quinto ex collaboratore di giustizia arrestato, Antonino Stracuzzi, viene contestato invece solo il reato di detenzione di armi aggravato dalla mafia.
Galletta, Bonaffini, Pietropaolo e Maceli rispondono anche di associazione finalizzata al narcotraffico. Stesso reato è contestato a Orazio Bellissima, che teneva i rapporti coi fornitori di droga, anche lui finito in cella. Arrestati anche personaggi della malavita locale come Giuseppe Cutè, Angelo Arrigo, Alberto Alleruzzo, Michele Alleruzzo, Stellario Brigandì e Giovanni Ieni, quest’ultimo ai domiciliari: a loro vengono contestati diversi episodi di spaccio di sostanze stupefacenti.
Il personaggio chiave dell’inchiesta coordinata della Dda di Messina è l’ex pentito Nicola Galletta, killer del clan di Giostra, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Letterio Rizzo, boss ucciso nel 1991. Mafioso dello stesso clan, Rizzo fu eliminato nel corso della guerra scoppiata all’interno della cosca. Galletta ha scontato anche una condanna a 18 anni per mafia. E’ stato recluso al 41 bis per anni. Nell’ultimo periodo era in detenzione domiciliare.
L’inchiesta nasce dagli attentati subiti dai familiari di due delle persone finite in carcere oggi insieme agli ex collaboratori di giustizia, i fratelli Arrigo, avvenuti il 29 aprile 2016 e il 25 gennaio 2017. Indagando sugli agguati sono emersi i rapporti tra tre ex pentiti Nicola Galletta, Pasquale Pietropaolo e Salvatore Bonaffini. Tutti e tre, ultimato il percorso di collaborazione con la giustizia, erano tornati a Messina.
Dalle indagini è emerso subito il ruolo di spicco di Galletta che insieme a Barbera aveva creato una cellula criminale mafiosa di cui facevano parte anche Vincenzo Barbera, fratello di Gaetano, Pietropaolo, Bonaffini e un altro pregiudicato, Cosimo Maceli.
Il clan si riuniva in un ristorante del centro della città dove si pianificava la riconquista del potere anche attraverso la gestione delle estorsioni e il traffico degli stupefacenti. Ma il core business dell’organizzazione criminale era rappresentato dal traffico delle sostanze stupefacenti.
“Tra gli arrestati di oggi ci sono componenti di spicco della criminalità messinese che avevano ruoli importanti a cavallo degli anni ’80 e dell’inizio anni ’90, e che dopo una collaborazione con lo Stato avevano ripreso a delinquere riprendendo i contatti con il territorio”, ha detto il procuratore Maurizio De Lucia.
“Grazie alle indagini siamo riusciti a comprendere l’intenzione di queste persone a riorganizzarsi ai vertici delle organizzazioni criminali – ha detto il procuratore -. Ricordo che per chi dopo un periodo di collaborazione con lo Stato torna a delinquere ci sono pene gravi tra cui la revisione dei processi dove ha ottenuto dei benefici”.
“Bisogna tuttavia riflettere su alcuni aspetti di natura legislativa che riguardano il ruolo di collaboratore di giustizia – ha aggiunto De Lucia -. Gli arrestati non avevano trovato grandi problemi a ritornare ai vertici nell’organizzazione o ad allearsi con altre persone per gestire varie attività sul territorio”.
Per il questore Vito Calvino “lo spaccato che emerge da questa indagine è quello della modalità di imposizione di controllo del territorio con azioni ‘tradizionali’ per la criminalità come l’estorsione, lo spaccio di droga e possesso di armi e siamo intervenuti subito per evitare delitti più gravi”.

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