Il ‘killer delle carceri’ colpisce ancora

Le impronte di Antonino Marano, sicario dei Cursoti milanesi, trovate sul luogo dell'omicidio di Dario Chiappone, ucciso a Riposto nel 2016. VIDEO

CATANIA – I carabinieri di Catania hanno arrestato Antonino Marano, 75enne di Riposto, noto come “il killer delle carceri” del gruppo dei ‘Cursoti’ milanesi. E’ accusato di essere tra gli autori dell’omicidio di Dario Chiappone, 30 anni, il cui cadavere fu trovato a Riposto il 31 ottobre 2016.
Il suo coinvolgimento è emerso dopo il suo arresto il 24 maggio scorso a Santa Venerina per detenzione e porto illegale di armi. Le impronte digitali di Marano, infatti, acquisite in carcere, sono state comparate dal Ris di Messina con quelle trovate in occasione del sopralluogo eseguito per l’omicidio di Chiappone ottenendo il riscontro sulla sua presenza sul luogo del delitto.

Per quell’omicidio, nel 2017, la Procura ha già emesso un decreto di fermo a carico di Salvatore Di Mauro, tuttora irreperibile, e Agatino Tuccio, attualmente detenuto e in attesa di giudizio di primo grado. Le indagini proseguono per l’identificazione di eventuali mandanti.
Sicario del gruppo dei ‘Cursoti’ milanesi, pluriergastolano, Marano assieme ad Antonino Faro e al rivale Vincenzo Andraus, è autore di diversi omicidi e gesti eclatanti, come l’evasione nel 1978, assieme a tre complici, compreso Faro, dal carcere di Catania.
Sicario di grosso spessore criminale è stato anche protagonista di episodi che segnarono la cronaca criminale degli anni ’80. Come quando nel carcere di San Vittore a Milano, con Faro, urlò di essere in possesso di una bomba e col complice fece irruzione nella cella di Andraus per ucciderlo con un tubo della doccia che “avevamo staccato con le mani” per “assassinare un infame”, ma l’intervento dei secondini bloccò il tentativo di omicidio.
Ai giornalisti, durante il processo in cui i due furono condannati a 17 anni di carcere ciascuno, non spiegarono il movente: “Se Andraus fosse morto – sostenne Marano – si poteva dire, ma purtroppo è vivo. Quando morirà ne riparleremo…”.
Il 5 ottobre del 1987 lui e Faro furono vittime di un attentato nell’aula della Corte di Assise di Milano: durante la requisitoria del Pm Francesco Di Maggio al processo Epaminonda, il detenuto Nuccio Miano sparò con una pistola diversi colpi contro di loro, ma ferì due carabinieri.
Il tentativo di vendetta arrivò un anno dopo. Era il 7 novembre del 1988 e nell’aula-bunker delle Vallette di Torino si celebrava un processo-stralcio contro il ‘clan dei catanesi’ davanti la Corte d’assise presieduta da Gustavo Zagrebelsky, quando da una delle gabbie Marano lanciò una bomba-carta contro la celle in cui si trovano i fratelli Nuccio e Luigi ‘Jimmy’ Miano.
L’ordigno artigianale realizzato con dell’esplosivo nascosto dentro un pacchetto di sigarette non colpì il bersaglio, ma una canaletta elettrica e un termosifone in ghisa sventrato dall’esplosione. Storie che sembravano finite impolverate nell’antica sanguinosa storia di Cosa nostra di Catania, rispolverate dalle nuove accuse ad uno dei ‘killer delle carceri”, il 75enne Antonino Marano.

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