“Un mafioso americano ci ha spiegato come usare l’esplosivo a Capaci”

A Caltanissetta il processo d'appello, in aula il pentito Maurizio Avola: "I boss volevano fare la guerra allo Stato, ma i Santapaola erano contrari alle stragi"

CALTANISSETTA – Il pentito Maurizio Avola è stato chiamato a deporre nell’ambito del processo d’appello bis per la strage costata al giudice Falcone, alla moglie e alla scorta, in corso davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta, rispondendo alle domande dell’avvocato Salvatore Petronio. Maurizio Avola aveva sostenuto di aver trasportato detonatori e tritolo provenienti da Messina e Reggio Calabria.
“Nel 92 ho conosciuto un esperto di esplosivi a casa di Aldo Ercolano (capomafia catanese ndr). Era poco più alto di 1.80, robusto, capelli scuri. Vestiva elegante. Mi dicevano che era venuto per dirci come si preparava un esplosivo. Aveva la parlata tipica dell’italo americano. Mi fu presentato come appartenente alla famiglia mafiosa americana di John Gotti. Ci disse come funzionava questo esplosivo potentissimo, come piazzarlo, come ottenere le frequenze giuste e l’utilizzo del detonatore. Mi fu presentato perché doveva partecipare alla strage di Capaci”. Cinque gli imputati: Salvo Madonia, Lorenzo Tinnirello, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo e Vittorio Tutino.
Nel processo di primo grado, la Corte d’Assise, condannò all’ergastolo Madonna, Tinnirello, Lo Nigro e Pizzo. Tutino invece venne assolto per non avere commesso il fatto. Due imputati, i boss Salvatore Madonia e Vittorio Tutino, assistiti dall’avvocato Flavio Sinatra, hanno presentato istanza di ricusazione del presidente della Corte d’assise d’appello e del giudice a latere. I due magistrati, secondo la difesa dei mafiosi, sarebbero incompatibili perché hanno celebrato e definito il cosiddetto “Borsellino quater” pronunciandosi sulla responsabilità di Madonia e Tutino. Entrambi i boss sono stati condannati all’ergastolo per la strage di via D’Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta.
“L’esplosivo era morbido, della consistenza del pongo. Era all’interno di bidoni utilizzati per le olive. Ercolano mi disse di preparare due di questi bidoni pieni. Si parlava del fatto che si doveva fare la guerra allo Stato a partire dai magistrati. Lo abbiamo trasportato con una Fiat Uno bianca. Siamo arrivati a Termini Imerese e l’abbiamo lasciato in un rifornimento. I telecomandi li abbiamo consegnati dopo, quindici giorni prima della strage di Capaci“.
“Non so quale fosse la marca di esplosivo che era contenuto nelle casse che portammo a Termini Imerese. Sicuramente c’era il T4, quello con la consistenza del pongo. Gli altri panetti erano un po’ più piccolini di forma tondeggiante e di colore marrone scuro. Non so dire se l’esplosivo che ho maneggiato sia il Semtex”, ha aggiunto Avola.
“Marcello D’Agata era contrario alle stragi e mi sconsigliò di parteciparvi, ma non voleva dire di no ad Aldo Ercolano. Vito Santapaola sapeva pure lui che portavo l’esplosivo a Termini Imerese ed entrambi erano contrari alle stragi, ma non si potevano opporre all’alleanza con i corleonesi”.
“Il programma stragista – ha aggiunto Avola rispondendo alle domande dell’avvocato di parte civile Felice Centineo – cominciò nell’aprile del 1991 quando fu deciso l’omicidio di Antonino Scopelliti. Fu deciso in provincia di Trapani in una riunione di capi mandamento. Doveva essere una catena di omicidi. Questa era la strategia”.
La Corte ha chiesto di sentire anche il pentito, ex poliziotto penitenziario, Pietro Riggio. “Nel periodo di detenzione a Santa Maria Capua Vetere ho conosciuto diversi ex appartenenti alle forze dell’ordine – ha confessato – Tra questi anche Giovanni Peluso ispettore della questura di Roma e un tale Giuseppe Porto. So che entrambi hanno avuto rapporti con i Servizi segreti”.
Giovanni Peluso è stato recentemente accusato da Riggio di aver preso parte alla strage di Capaci in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, e gli agenti scorta. Circostanza che il poliziotto ha escluso nettamente: “è dimostrabile- si è difeso Peluso nel corso di un confronto con lo stesso Riggio, avvenuto il 7 marzo scorso e depositato oggi agli atti del processo – Non ho potuto materialmente esserci, perché stavo al corso per sottufficiali, come facevo ad andare a Capaci?”. La deposizione di Pietro Riggio continuerà nella prossima udienza fissata per il 29 novembre.

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