Il caso Antoci scoppia in Antimafia. Fava: “Ricostruzioni poco plausibili”. La replica: “Prova di mascariamento”

L.Cil. Le tre ipotesi della Commissione: "Il fallito attentato mafioso-stragista è la meno plausibile. Lui vittima inconsapevole". L'ex presidente del Parco dei Nebrodi: "Scandalosa messa in discussione del lavoro di magistratura e forze dell’ordine"

CATANIA – “Delle tre ipotesi il fallito attentato mafioso con intenzioni stragiste appare la meno plausibile”. La Commissione antimafia, di cui è presidente è Claudio Fava, ha approvato all’unanimità la relazione finale dell’inchiesta sull’attentato a Giuseppe Antoci. L’Antimafia regionale “più che esprimere conclusioni certe e definitive” dà atto “delle molte domande rimaste senza risposta, delle contraddizioni emerse e non risolte, delle testimonianze divergenti, delle criticità investigative registrate”. L’auspicio è che “su questa vicenda si torni ad indagare (con mezzi certamente ben diversi da quelli di cui dispone questa Commissione) per un debito di verità che va onorato. Qualunque sia la verità”.
LE TRE IPOTESI. Per la Commissione restano attuali 3 ipotesi “l’attentato mafioso fallito, l’atto puramente dimostrativo, la simulazione. Ipotesi che vedono Antoci vittima (bersaglio della mafia nelle prime 2; strumento inconsapevole di una messa in scena nella terza)”. Antoci stava andando a casa a Santo Stefano di Camastra (Messina), dopo un incontro a Cesarò, quando la sua auto blindata (aveva una scorta di terzo livello) venne bloccata lungo la strada da alcuni massi e vennero sparati alcuni colpi di lupara contro la vettura da persone che poi riuscirono a scappare. Antoci, che è stato responsabile legalità del Pd e ora è tornato a fare il bancario, aveva attuato un protocollo di legalità nel parco dei Nebrodi poi allargato a tutta la Sicilia e quindi diventato legge nazionale. L’antimafia siciliana ha aperto l’inchiesta sulla vicenda nel maggio scorso proprio con la presidenza Fava.
L’ATTACCO DI FAVA. “L’ipotesi più plausibile è quella della simulazione” spiega il presidente dell’Antimafia siciliana. “Trasmetteremo la relazione approvata dalla commissione regionale alle procure competenti e all’Antimafia nazionale, oltre che alla presidenza dell’Assemblea”, aggiunge Fava. “Il quadro che emerso è inquietante. Abbiamo svolto un lavoro inteso per qualità delle persone audite, mettendo insieme fatti, contraddizioni e in alcuni casi ricostruzioni poco plausibili – aggiunge – Quella approvata non è una relazione a tesi, partita cioè da un pregiudizio. Su un fatto così grave occorreva fare un lavoro di approfondimento, non ci siamo mossi su un filone prestabilito ma abbiamo ascoltato investigatori, magistrati e giornalisti”.
Alla domanda su chi abbia orchestrato l’eventuale messa in scena e con quale obiettivo, Claudio Fava, ha risposto: “Non facciamo ipotesi, non era compito della commissione”. Ai cronisti che gli hanno chiesto se lui ritenga che ci siano responsabilità da parte di qualche investigatore anche alla luce di alcune contraddizioni raccolte dalla commissione Antimafia ha detto: “Non diamo giudizi”. “Auspichiamo che ci sia una riapertura delle indagini da parte della magistratura per l’affermazione piena della verità sul caso Antoci, lo si deve anche a lui che è comunque vittima”.
LA RELAZIONE DELL’ANTIMAFIA. Nelle conclusioni della relazione sull’agguato all’ex presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, la commissione regionale Antimafia, dopo le audizioni, analizzando le testimonianze, leggendo gli atti dei pm e il decreto di archiviazione dell’inchiesta che riguardava all’inizio 14 indagati, critica le indagini, le procedure operative della scorta subito dopo l’agguato, mette in dubbio testimonianze di esponenti delle forze dell’ordine, ritenendo con comprensibili alcuni comportamenti come quelli del vicequestore aggiunto Daniele Manganaro che sarebbe arrivato sul luogo dell’attentato, poco dopo l’esplosione dei colpi di fucile, sventandolo. La relazione è stata approvata da 10 deputati su 13: gli altri 3 sono autosospesi perchè indagati in inchieste.
Per l’Antimafia “non è plausibile che quasi tutte le procedure operative per l’equipaggio di una scorta di terzo livello, qual era quella di Antoci, siano state violate; non è plausibile che gli attentatori, almeno tre (a giudicare dalle tre marche di sigarette riscontrate sui mozziconi), presumibilmente tutti armati (non v’è traccia nelle cronache di agguati di stampo mafioso a cui partecipino sicari non armati), non aprano il fuoco sui due poliziotti sopraggiunti al momento dell’attentato; non è plausibile che, sui 35 chilometri di statale a disposizione tra Cesarò e San Fratello, il presunto commando mafioso scelga di organizzare l’attentato proprio a due chilometri dal rifugio della forestale, presidiato anche di notte da personale armato, né è plausibile che gli attentatori non fossero informati su questa circostanza.
LA REPLICA DI ANTOCI. “Rimango basito di come una Commissione, che solo dopo tre anni si occupa di quanto mi è accaduto, possa arrivare addirittura a sminuire il lavoro certosino e meticoloso che per ben due anni la Dda di Messina e le forze dell’ordine hanno portato avanti senza sosta, ricostruendo gli accadimenti con tecniche avanzatissime in uso alla polizia scientifica di Roma e che oggi rappresentano per l’Italia un fiore all’occhiello. Tali tecniche sono state utilizzati inizialmente per ricostruire due attentati: quello di via d’Amelio e quello perpetrato contro di noi quella notte sui Nebrodi” dichiara Antoci esterrefatto. L’ex presidente del Parco dei Nebro ricorda di aver depositato alla Commissione Regionale una relazione di 27 pagine, con 15 allegati di atti del procedimento, “che sono di una chiarezza disarmante, unite ad intercettazioni telefoniche chiarissime e pesantissime. Ho chiesto di renderla integralmente pubblica senza tagli e omissioni, perché ritenevo che le persone dovessero sapere e comprendere tutto. Risultato? Solo un sunto. Ma perché?”.
“La Commissione antimafia, invece, ha utilizzato audizioni di soggetti che non citano mai le loro fonti bensì il sentito dire o esposti anonimi che la magistratura, dopo attenta valutazione e trattazione, ha dichiarato essere calunniosi. Senza considerare che alcuni dei soggetti auditi hanno in corso procedimenti giudiziari sul piano generale, e in particolare per diffamazione sull’accaduto, o procedimenti passati, conclusi con la penale affermazione del reato di falso”.
L’ex presidente del Parco dei Nebrodi accusa Fava di voler delegittimare il lavoro degli inquirenti (“durante la mia audizione, quando mi affermò che i magistrati e le forze dell’ordine hanno lavorato male”) e di non aver indagato abbastanza sui colpi che il protocollo Antoci ha inferto alla mafia dei pascoli. “Non si fa politica – aggiunge Antoci – giocando con la vita delle persone, dando spunti a delegittimatori e mascariatori. Bisogna essere rigorosi e cauti, ci va di mezzo la sicurezza e la vita della gente. Ma purtroppo passando il tempo – continua Antoci – le cose pare si dimentichino ed io non pensavo che proprio Claudio Fava dimenticasse ciò che è stato detto e fatto contro suo padre e il mascariamento che ha subìto quando tutto veniva sminuito e legato a fatti personali e non alla mafia”.
IL GIP: “VOLEVANO UCCIDERE”. Nella sua replica Antoci ricorda quanto scritto dai magistrati della Dda di Messina nel loro dispositivo. “…un vero e proprio agguato, meticolosamente pianificato, organizzato ed attuato con tecniche di tipo “militare”. Appariva in dubbio che gli attentatori avessero agito non al fine di compiere un semplice atto intimidatorio e/o dimostrativo, ma al deliberato scopo di uccidere”. Ed il gip nel suo dispositivo finale aggiunge: “….innegabile che tale gravissimo attentato era stato commesso con modalità tipicamente mafiose…. Un vero e proprio agguato meticolosamente pianificato e finalizzato non a compiere un semplice atto intimidatorio e/o dimostrativo, ma al deliberato scopo di uccidere…”. Anche il movente dell’agguato risulta assolutamente chiaro. I magistrati scrivono: “sin dall’inizio le indagini si indirizzavano sulle penetranti azioni di controllo e repressione delle frodi comunitarie nel settore agricolo-pastorale, da tempo avviate da Antoci”.

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