Borsiste adescate, arrestato ex giudice Bellomo

Bari: il docente era diventato famoso per l'imposizione del 'dress code' e le relazioni con le studentesse

BARI – “L’istituzione del servizio di borse di studio non era altro che un espediente per realizzare un vero e proprio adescamento delle ragazze da rendere vittime del proprio peculiare sistema di sopraffazione”. Con queste motivazioni del gip è stato arrestato a Bari l’ex giudice Francesco Bellomo, docente e direttore scientifico dei corsi post-universitari per la preparazione al concorso in magistratura della Scuola di formazione giuridica avanzata ‘Diritto e Scienza’.
Il 47enne risponde dei reati di maltrattamento nei confronti di quattro donne, tre borsiste e una ricercatrice, alle quali aveva imposto anche un dress code, ed estorsione aggravata ai danni di un’altra corsista.
I fatti contestati risalgono agli anni 2011-2018. Il reato di maltrattamenti sarebbe stato commesso da Bellomo nei confronti di donne con le quali aveva avuto una relazione sentimentale, in concorso con l’ex pm di Rovigo Davide Nalin, coordinatore delle borsiste.
Stando alle indagini dei carabinieri, Bellomo, con “l’artifizio delle borse di studio offerte dalla società” che consentivano tra le altre cose la frequenza gratuita al corso e assistenza didattica individuale, “per selezionare ed avvicinare le allieve nei confronti delle quali nutriva interesse, anche al fine di esercitare nei loro confronti un potere di controllo personale e sessuale”, si legge nell’imputazione, avrebbe fatto sottoscrivere un “contratto/regolamento” che disciplinava i “doveri”, il “codice di condotta” e il “dress code” del borsista.
Ad alcune borsiste era imposto “il divieto di contrarre matrimonio a pena di decadenza automatica dalla borsa”. Secondo “la concezione ‘bellomiana’ dei rapporti interpersonali”, le vittime sarebbero state prima “isolate, allontanandole dalle amicizie”, quindi Bellomo ne avrebbe tentato una “manipolazione del pensiero se non addirittura di indottrinamento” con successivo “controllo mentale, mediante l’espediente di bollare come sbagliate le opinioni espresse o le scelte compiute dalla vittima, in modo da innescare un meccanismo di dipendenza da sé”.
Bellomo è anche indagato per i reati di calunnia e minaccia ai danni dell’attuale premier Giuseppe Conte. L’accusa, contenuta nell’ordinanza di arresto per maltrattamenti ed estorsione nei confronti di cinque ex borsiste, risale al settembre 2017, quando Conte era vicepresidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e presidente della commissione disciplinare chiamata a pronunciarsi su Bellomo.
L’ex magistrato aveva citato per danni dinanzi al Tribunale di Bari Conte e un’altra ex componente della commissione disciplinare, Concetta Plantamura, “incolpandoli falsamente” di aver esercitato “in modo strumentale e illegale il potere disciplinare”, svolgendo “deliberatamente e sistematicamente” una “attività di oppressione” nei suoi confronti, “mossa – denunciava Bellomo – da un palese intento persecutorio, dipanatosi in un numero impressionante di violazioni procedurali e sostanziali, in dichiarazioni e comportamenti apertamente contrassegnate dal pregiudizio”.
Pochi giorni dopo la notifica della citazione e nell’imminenza della seduta del Plenum per la discussione finale del procedimento disciplinare a suo carico, Bellomo avrebbe depositato una memoria chiedendo “l’annullamento in autotutela degli atti del giudizio disciplinare per vizio di procedura” e il suo “proscioglimento immediato” per “evitare ogni ulteriore aggravamento dei danni ingiusti già subiti”.
Per la Procura di Bari Bellomo avrebbe così “implicitamente prospettato oltre all’aggravarsi dell’entità del risarcimento chiesto, anche il possibile esercizio di azioni civili in caso di ulteriori danni”. Avrebbe quindi minacciato Conte e Plantamura “per turbarne l’attività nel procedimento disciplinare a suo carico – si legge nell’imputazione – e impedire la loro partecipazione alla discussione finale, influenzandone la libertà di scelta e determinando la loro estensione, benché il Cpga avesse votato all’unanimità, e in loro assenza, l’insussistenza di cause di astensione e ricusazione”.

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