Depistaggio sulla strage di via D’Amelio, moglie Scarantino: ‘Mio marito sentiva pm’

Caltanissetta. La deposizione di Rosalia Basile: "Ho trovato i bigliettini con i loro numeri di cellulare, spesso li chiamava"

PALERMO – La rivelazione arriva quasi al termine dell’udienza, quando Rosalia Basile, ex moglie del falso pentito Vincenzo Scarantino, tira fuori davanti ai giudici una agendina.
La conservava da anni in uno scatolone, uno dei tanti fatti durante i traslochi su e giù per l’Italia al seguito del marito, il picciotto della Guadagna a cui, tra botte e minacce, gli investigatori avrebbero fatto raccontare la falsa storia della strage di via D’Amelio.
Sull’agenda, esibita al tribunale di Caltanissetta, che per uno dei più clamorosi depistaggi della storia italiana processa tre funzionari di polizia, ci sono i nomi e i numeri di cellulare di quattro magistrati: Anna Palma, Nino Di Matteo, Gianni Tinebra e Carmelo Petralia, i pm che, indagarono, per primi, sull’attentato a Paolo Borsellino.
“Mio marito li sentiva al telefono, si chiudeva in una stanza e li chiamava”, racconta la donna, gettando un’ombra pesante sulla anomala gestione del finto pentito da parte della vecchia procura di Caltanissetta. Pochi istanti dopo la deposizione arriva la replica di Di Matteo, allora giovane pm, ora in servizio alla Dna.
“Sono stato io, per primo, e spontaneamente, durante il cosiddetto processo Borsellino quater a smentire Scarantino che aveva negato di avermi chiamato al telefono. Io ho raccontato di averci parlato perché qualcuno, a mia insaputa, gli aveva dato il mio cellulare. Una volta addirittura mi lasciò otto messaggi in segreteria”, spiega.
L’agenda è ora finita agli atti del processo in corso a Caltanissetta e verosimilmente verrà acquisita anche nel procedimento aperto dalla Procura di Messina che sta cercando di accertare eventuali responsabilità, nel depistaggio, dei magistrati che indagarono sulla strage.
Imputati Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, sono accusati di calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra davanti ai giudici nisseni. Uomini dello Stato che, su regia dell’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera, avrebbero creato a tavolino una falsa verità sulla fase esecutiva dell’attentato coinvolgendo uomini d’onore della famiglia di Santa Maria di Gesù che, con la strage, non c’entravano nulla.
Scarantino sarebbe stato massacrato di botte, torturato, sottoposto a violenze fisiche e psicologiche perché dicesse il falso. In aula la moglie ricorda: “Dopo l’arresto mio marito era ridotto pelle e ossa, spostato da un carcere all’altro, mi raccontava che gli mettevano i vermi nel cibo, che lo picchiavano, che La Barbera lo minacciava dicendogli che gli avrebbe fatto fare la fine di Gioè (mafioso trovato morto impiccato in cella ndr). Lui non c’entrava col furto della 126 usata per l’attentato, me lo ripeteva, ma lo costrinsero a mentire”.
La donna racconta anche di incontri con Ribaudo e Mattei in uno dei nascondigli in cui la famiglia viveva: “Gli facevano imparare a memoria i verbali – dice – Era come un film, recitava un copione”.

scroll to top