Morto il killer fedelissimo di Totò Riina Uccide Chinnici ed era in via D’Amelio

Il super sicario Stefano Ganci stroncato da infarto a Parma. Aveva fatto parte dei commando contro i giudici

PARMA – Era in carcere a Parma con condanne all’ergastolo ma non era al 41 bis Stefano Ganci, il superkiller di Cosa nostra fedelissimo di Totò Riina stroncato in cella da una crisi cardiaca negli ultimi giorni del 2017. E’ stata una morte improvvisa e, anche se le cause sembrano chiare, la magistratura ha ordinato l’autopsia: in questi casi è una regola seguita già per Totò Riina, anch’egli morto nel carcere di Parma.
E come per Riina anche per Ganci il questore di Palermo, Renato Cortese, ha vietato i funerali pubblici. Con Stefano Ganci, che aveva 55 anni, scompare il rampollo di una famiglia che ha avuto un ruolo fondamentale non solo nella guerra di mafia degli anni Ottanta ma anche nella catena di agguati e attentati culminati con le stragi del 1992 organizzati per eliminare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Il capo del gruppo familiare era Raffaele Ganci, che gestiva una macelleria in via Lo Iacono, a pochi metri dalle abitazioni di Giovanni Falcone e del giudice Rocco Chinnici saltato in aria con un’autobomba nel luglio 1983. Raffaele Ganci, che ha 86 anni e sconta in carcere vari ergastoli, ha partecipato a tutti gli agguati sin dal tempo in cui Riina e il gruppo corleonese diedero la scalata sanguinosa ai vertici di Cosa. In cambio il boss ha guadagnato la promozione a capo del mandamento della Noce.
La sua forza veniva anche dalla struttura militare che aveva messo in campo con i figli Stefano, Mimmo e Calogero. E proprio Calogero, che si è pentito nel 1996, ha rivelato dettagli sul coinvolgimento dell’intera famiglia nei delitti più eclatanti. Raffaele Ganci avrebbe guidato un’auto d’appoggio al commando che uccise il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e avrebbe pedinato il giudice Paolo Borsellino nei suoi spostamenti del 19 luglio 1992, quando venne ucciso con cinque agenti della scorta dalla spaventosa esplosione di via D’Amelio.
Calogero Ganci, che si è pentito per “dare una lezione a Cosa nostra” dopo l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, si è accusato di un centinaio di omicidi e ha testimoniato contro il padre e i fratelli Mimmo e Stefano sul loro coinvolgimento negli assassini del giudice Chinnici, del vice questore Ninni Cassarà, del capitano Mario D’Aleo, dell’eurodeputato dc Salvo Lima, del primo pentito di mafia Leonardo Vitale. Né Stefano né Mimmo hanno mai avuto un cedimento davanti alle accuse del fratello.

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