Stromboli, relitto dell’incrociatore in mare

'Giovanni delle Bande Nere' affondò nel 1942 durante il trasferimento da Messina a La Spezia,  quasi tutto l'equipaggio morì. FOTO - VIDEO

PALERMO – Il cacciamine Vieste della Marina Militare, durante un’attività di verifica tecnica e sorveglianza dei fondali nel Mar Tirreno presso l’isola di Stromboli, ha ritrovato il relitto dell’incrociatore leggero Giovanni Delle Bande Nere affondato il 1° aprile del 1942. E’ stato localizzato a una profondità compresa tra i 1.460 e i 1.730 metri.
Il natante era in trasferimento da Messina a La Spezia, per effettuare alcune riparazioni in arsenale scortato dal cacciatorpediniere Aviere e dalla torpediniera Libra. Durante la navigazione, in mattinata circa, fu colpito da due siluri lanciati dal sommergibile britannico H.M.S. Urge. L’incrociatore, spezzato in più tronconi, affondò rapidamente. Morì gran parte dell’equipaggio composto da 507 militari.

Lungo 169,3 metri, il cacciamine aveva un dislocamento di 6.950 tonnellate a pieno carico. La velocità massima era di 36 nodi. L’armamento era composto da 14 cannoni per la difesa anti aerea e anti silurante e da 10 mitragliere. Imbarcava due ricognitori aerei.
Il 28 marzo 1942 – come si legge in un Bollettino d’archivio dell’Ufficio storico della Marina militare – era stato trasmesso l’ordine di trasferimento dell’incrociatore Giovanni delle Bande Nere da Messina alla Spezia, con transito da Stromboli, per il 31 dello stesso mese, per giungere alla Spezia il mattino del giorno successivo.
La scorta doveva essere effettuata dall’Aviere, dal Fuciliere e poi dal Diana, con scorta aerea durante le ore diurne. La mattina del primo aprile, a 8 miglia a sud-est di Stromboli, furono avvistate scie di siluri.
L’incrociatore fu colpito al centro da un siluro lanciato da brevissima distanza dal sommergibile Urge, che si trovava nello spazio compreso fra l’Aviere e l’incrociatore; il secondo siluro divise la nave in due tronconi, che si inabissarono rapidamente.
“Non sono mai sceso dal Giovanni dalle Bande Nere, io mi sono salvato ma il mio destino e il mio cuore sono ancora lì, con tutti i miei compagni che sono morti quel 1° aprile del 1942”. Con queste parole Gino Fabbri, fuochista ausiliario sull’incrociatore Giovanni delle Bande Nere ricordava il terribile giorno dell’affondamento dell’incrociatore leggero italiano a opera del sommergibile britannico Urge.
Una storia che segnò tutta la sua vita fino alla morte avvenuta nel 1966 a soli 44 anni: a raccontarlo i tre figli del marinaio, Mirella, Bruno e Aurelio Fabbri. Il fuochista fu poi salvato e ricoverato all’ospedale di Messina dopo molte ore di permanenza in mare, ricoperto di nafta e petrolio su tutto il corpo.
“Il più grande rimpianto di mio padre – spiega la figlia – era di non essere riuscito a salvare 4 suoi compagni che erano rimasti con lui aggrappati a una delle zattere. Mio padre, poi, allo stremo delle forze riuscì a nuotare fino alla torpediniera Libra dove fu issato a bordo con una cima”.

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