Catania, arrestato il padre del sindaco

Zuccaro: "Fanno bene a temere la Procura"

FOTO: ecco come funzionava il sistema

Lo studio Pogliese avrebbe aiutato gli imprenditori a evadere tasse per 220 milioni di euro: 9 ai domiciliari. TUTTI I NOMI - LE INTERCETTAZIONI 1LE INTERCETTAZIONI 2

Il primo cittadino etneo: "Fiducia nei pm"

CATANIA – C’è anche Antonio Pogliese, padre del sindaco di Catania, Salvo, tra le persone poste agli arresti domiciliari dalla guardia di finanza nell’ambito di un’inchiesta della Procura per associazione per delinquere, bancarotte e evasione fiscale.
Professionista di successo ed esperto del settore della grande distribuzione, Antonio Pogliese ha uno dei più noti studi di economia e finanza della città.
La guardia di finanza ha eseguito in tutto undici misure cautelari, nove arresti domiciliari e due provvedimenti interdittivi, emesse dal Gip su richiesta della Procura nei confronti di tre professionisti di un noto studio associato e sette imprenditori. Le Fiamme gialle stanno anche eseguendo un sequestro preventivo di 4 marchi registrati e 4 complessi aziendali per un valore complessivo di circa 11 milioni di euro.
Un sequestro del quale “lo studio Pogliese non è oggetto”, ha precisato il procuratore Carmelo Zuccaro. “Lo studio Pogliese – hanno aggiunto gli investigatori – dalle indagini emerge come intermediario abilitato alla trasmissione delle dichiarazioni. Questo è il compito formale. Ci aspettiamo ovviamente di trovare dei compensi. Le investigazioni in realtà evidenziano un contributo di consulenze che chiaramente non è pari all’incarico formale. Oltre a questo, tra gli altri incarichi formali vi sono attribuzione di incarichi in collegi sindacali, per i quali ovviamente ci sono dei compensi”.
Gli investigatori ritengono di avere scoperto “un collaudato sistema fraudolento in grado di garantire a diversi gruppi imprenditoriali la sottrazione al pagamento di un complessivo volume di imposte per oltre 220 milioni di euro e la contestuale elusione di procedure esecutive e concorsuali”.
L’operazione delle Fiamme gialle, denominata “Pupi di pezza”, nasce dal costante monitoraggio delle posizioni di contribuenti destinatari di ingenti cartelle esattoriali che avviano la procedura di liquidazione affidando la stessa a “prestanome” così da escludere gli effettivi amministratori da ogni responsabilità penale e civile con l’unica finalità di continuare l’attività d’impresa attraverso una differente, solo in apparenza, società commerciale.
A orchestrare e scandire le fasi del circuito criminale era dunque lo studio associato Pogliese, che assumeva il ruolo di “regista” del sistema attraverso l’opera diretta del commercialista Antonio Pogliese, 75 anni, e di alcuni suoi associati, Michele Catania, 53 anni, e Salvatore Pennisi, 46 anni, i quali si avvalevano di Salvatore Virgillito, 66 anni, anche lui agli arresti domiciliari.
Attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali, accertamenti bancari e acquisizioni di documenti presso enti pubblici, è stato messo in luce il sistema illecito che si sviluppava attraverso diverse fasi. Una società in stato palese di deficit finanziario si affidava allo studio Pogliese al fine di eludere eventuali procedure fallimentari e di riscossione.
I professionisti indagati subentravano formalmente quali intermediari abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali dei gruppi societari ma, di fatto, fornivano un illecito “pacchetto” di servizi per condurre le imprese “sottopatrimonializzate” al riparo da possibili investigazioni.
Con il subentro dello studio Pogliese, le imprese venivano poste in liquidazione affidando il ruolo di liquidatore a persona di fiducia dello studio, priva di competenze professionali, il cui compenso mensile (di qualche centinaio di euro) era corrisposto dagli effettivi amministratori della società.

Il liquidatore prestanome favoriva l’effettuazione di indebiti pagamenti preferenziali e la distrazione degli asset patrimoniali più significativi a favore di ulteriori società riconducibili agli stessi amministratori di quella posta in liquidazione (nei fatti, una società “specchio” con oggetto sociale similare, sedi coincidenti nonché il medesimo personale dipendente e stessi fornitori e clienti, che attraeva dalla società decotta gli elementi patrimoniali positivi acquisendoli a condizioni economiche di assoluto vantaggio).
Inoltre, veniva chiusa la liquidazione e veniva eseguita la cancellazione dal registro delle imprese della società originaria, nel frattempo “svuotata” di tutto tranne che delle imposte iscritte a ruolo che restavano le uniche passività finanziarie non soddisfatte. Trascorso un anno dalla cancellazione, il pubblico ministero, ai sensi della legge fallimentare, non può più chiederne il fallimento.
Il fittizio liquidatore era gestito da Salvatore Virgillito che rappresentava l’anello di congiunzione tra i reali amministratori delle società decotte, il prestanome e lo studio associato Pogliese. Emblematiche sono diverse conversazioni telefoniche intercettate nelle quali Virgillito lamentava con i professionisti dello studio il mancato versamento delle “paghe” mensili garantite al liquidatore di comodo dai reali amministratori delle società commerciali truffaldine.
A beneficiare deliberatamente del sistema illecito sono stati i fratelli Antonino Grasso, 54 anni, Giuseppe Andrea Grasso, 51 anni, Michele Grasso, 58 anni, sottoposti agli arresti domiciliari, amministratori e proprietari della fallita “Diamante Fruit Srl”, attiva nel commercio all’ingrosso di frutta e ortaggi con sede ad Acireale (Ct), che da un  accertamento effettuato nel 2002, aveva maturato nei confronti dell’Erario un debito di circa 215 milioni di euro, rappresentato solo in parte in bilancio. I predetti hanno distratto i marchi aziendali “Saporita”“Golosita”, “Diamante”, “Diamante Fruit”), il cui valore economico effettivo è di circa 1,8 milioni di euro, in favore di un’ulteriore loro società (“Kalipso Srl”, con sede a Milano) al prezzo inferiore di 520 mila euro.
La fase finale del disegno fraudolento prevedeva l’incorporazione della “Kalipso Srl” (la cui effettiva proprietà era stata inizialmente “schermata” attraverso l’interposizione di fiduciarie svizzere e inglesi) nella “Grasso distribuzioni Srl” costituita nel 2012 per diventare l’erede della “Diamante Fruit Srl”.
E ancora Concetta Galifi, 39 anni, finita agli arresti domiciliari, in qualità di amministratore della “Prima Trasporti Srl”, attività di trasporto merci su strada di Paternò (Ct), in liquidazione dal 2015, dichiarata fallita nel febbraio 2018. La Galifi, supportata dallo studio Pogliese e dal liquidatore “testa di legno”, proseguiva l’attività d’impresa aggravando il dissesto e sottraendosi al pagamento di debiti erariali superiori a 2 milioni di euro, favorendo, già negli anni antecedenti alla liquidazione, il passaggio di forza lavoro, automezzi, avviamento e portafoglio clienti/fornitori alla “Gali Group Srl“, con sede a Ispica (Rg), amministrata dalla cognata di Galifi.
Ai domiciliari anche Rosario Patti, 79 anni, amministratore della “Patti Diffusione Srl”, esercente l’attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio di abbigliamento e calzature, avente sede ad Acireale (Ct), dichiarata fallita dal Tribunale etneo nel 2017. In presenza di un capitale sociale eroso dalle perdite sin dal 2006, Patti proseguiva l’attività d’impresa anziché affidarsi a una procedura concorsuale, aggravandone il già palese dissesto, omettendo il pagamento di debiti erariali e previdenziali superiori a 2 milioni di euro. Nello stesso frangente, Patti contribuiva a distrarre il complesso aziendale a beneficio della “Cta Fin”, esercente l’attività di commercio al dettaglio di confezioni per adulti con sede a Misterbianco (Ct), società amministrata di fatto dallo stesso Patti attraverso la simulazione di un fitto d’azienda e di un contratto estimatorio per il trasferimento delle merci.
Infine, le indagini hanno fatto emergere due altre vicende societarie. La prima riguarda la “Grandi Vivai Società Agricola Srl”, con sede a Paternò (Ct), esercente l’attività di coltivazioni di fiori e piante ornamentali, fallita nel luglio 2018 e amministrata da Alfio Sciacca, 67 anni, destinatario del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali per un anno. Attraverso una scissione societaria, ha favorito la distrazione degli asset patrimoniali più redditizi della società deficitaria a vantaggio di “Planeta Srl”, con sede a Catania, esercente l’attività di progettazione, esecuzione di lavori specializzati nel verde, società quest’ultima riconducibile alla stessa compagine societaria della fallita. Favorito dallo studio Pogliese, si è anche sottratto al pagamento di imposte per un milione di euro.
La seconda vicenda vede destinatario di misura interdittiva del divieto temporaneo di esercitare attività imprenditoriali per un anno, Nunziata Conti, 65 anni, amministratore della “F.lli Conti Paternò Srl“, con sede a Paternò (Ct), esercente il commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli, dichiarata fallita nel giugno del 2018, che ha contribuito ad aggravarne il dissesto proseguendo dal 2008 l’attività pur in carenza di capitali propri, favorendo la distrazione del complesso aziendale a beneficio di altra società del gruppo sottraendosi al pagamento di imposte per oltre 1 milione di euro.

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