SSD: miti da sfatare

Ci possiamo fidare dei dischi a stato solido?

Quando sono comparsi in vendita i drive a stato solido o SSD si è pensato che per i costi alti e la poca capienza gli hard disk tradizionali sarebbero durati ancora a lungo.
Oggi sappiamo che questi nuovi dispositivi saranno utilizzati nel 90% dei pc desktop e laptop dell’attuale produzione; un dato che ci viene dal Ces 2019 e che nasce da una semplice considerazione: smartphone e tablet già fanno ampliamene uso di memorie in forma di chip ed è ormai una tecnologia molto matura.
A rallentare l’espandersi di questi dispositivi nel mondo digitale dei computer  sono stati soprattutto le riserve in merito a prestazioni, affidabilità e costi. Si tratta in gran parte di pregiudizi superati dall’evoluzione tecnologica ma che ancora frenano i produttori di notebook nel procedere al rimpiazzo su larga scala delle unità magnetiche. Pregiudizi che vogliamo sfatare e che non permettono a molti di scoprire come la tecnologia ssd sia in grado di migliorare lo storage management, la potenza elaborativa complessiva del nostro PC.
Vediamo cosa si dice degli ssd:

Gli SSD non durano a lungo

C’è qualcosa di vero dietro questa affermazione: al contrario degli Hard Disk, gli SSD sono basati su celle (di tipo NAND Flash) con un numero finito di scritture; questo vuol dire che un SSD può durare solo per un determinato carico di lavoro.
Bisogna però dire che questi prodotti sono oggi costruiti per durare molti anni grazie a una migliore elettronica e migliori sistemi di rilevazione dei guasti e di correzione. In aggiunta esistono unità SSD specificamente progettate per reggere carichi di lavoro molto pesanti, misurati con interi cicli di riscrittura giornalieri.

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Cerchiamo di spiegare cosa, in termini tecnici, è avvenuto negli ultimi anni che ha reso questi dispositivi duraturi ancor più degli hard disk tradizionali.
Uno dei problemi che affliggeva le prime unità SSD riguardava l’amplificazione della scrittura (wa), diretta conseguenza di come le memorie flash (di cui gli SSD sono fatti) vengono cancellate. A differenza dei blocchi sui dischi magnetici, le celle di memoria devono essere prima resettate per poter ritornare disponibili alla scrittura.
La complicazione riguarda il fatto che l’operazione di reset può essere fatta soltanto per grandi blocchi di celle prese tutte insieme. Questo rende inevitabile dover di tanto in tanto copiare da un’altra parte i dati da conservare, per resettare e recuperare lo spazio occupato dai file già cancellati. L’operazione di spostamento dei “rifiuti”, così viene chiamata nel gergo tecnico, consuma anticipatamente le celle portando ad una prematura fine del dispositivo SSD.
Negli anni l’algoritmo di funzionamento degli SSD si è affinato ed oggi questo tipo di disco supporta una quantità incredibile di dati. Ad esempio un moderno SSD da 500 GB può essere scritto con ben 500 TB (500.000 GB) di dati e possiede una garanzia del produttore da 3 a 5 anni.

La gestione degli SSD è complicata

Si tratta in questo caso di un vero pregiudizio verso un dispositivo che non si conosce.
Un SSD può e deve essere utilizzato come un normale disco di storage. Gli attuali sistemi operativi integrano e supportano le funzioni necessarie al funzionamento ottimale di questi dispositivi che hanno un comando di deframmentazione proprio e un monitoraggio dello stato di salute (detto smart). Possono inoltre essere partizionati, formattati e resettati ai valori di fabbrica (Secure Erase) come un qualsiasi Hard Disk o dispositivo di memoria.
Per dare una spiegazione al nascere di questa falsa informazione, occorre anche qui chiarire che gli attuali SSD sono molto diversi da quelli di 5 o 6 anni fa ma lo sono anche i sistemi operativi.
Grazie all’introduzione del supporto trim e alla diffusione del protocollo sata AHCI, gli SSD comunicano efficacemente con il sistema operativo, utilizzando il proprio controller per liberare spazio utile alla scrittura e distribuire l’usura delle celle, senza diminuire la velocità di elaborazione e in piena autonomia, senza cioè che noi ci impegniamo in operazioni di manutenzione diverse da quelle cui siamo solitamente abituati.
Sfatiamo dunque il mito secondo cui un SSD non deve essere deframmentato, poiché i sistemi operativi oggi sono capaci di capire che, trattandosi di un dispositivo a stato solido, devono adottare delle diverse misure di manutenzione (un comando trim appunto).

Gli SSD non sono affidabili

Vero che i primi modelli di SSD avevano un tasso di rottura molto alto e che il recupero dei dati risultava alquanto difficoltoso, ma oggigiorno l’affidabilità di questi dispositivi è pari o superiore a quella di un comune hard disk e le aziende stesse di recupero dati, lavorando in stretto contatto con i produttori più affermati, hanno messo a punto procedure di estrazione hardware e ricostruzione dell’array, con un discreto margine di successo.
Oltre ciò i produttori di SSD hanno adottato degli accorgimenti di scrittura dei dati ridondante o condensatori che “salvano” i dati in caso di black-out.

Gli SSD sono costosi

Un altro dei problemi riguarda il costo degli SSD. Il prezzo di questi drive è calato rapidamente negli ultimi anni e si è poi stabilizzato a causa dei ritardi nel passaggio alla nuova tecnologia di memorie flash 3D-NAND. Il problema è ora risolto e nell’ultimo anno si è assistito ad un forte calo dei prezzi.
In ogni caso, anche se resta una differenza di prezzo con i tradizionali HDD, va considerato che gli SDD sono in grado di rendere i nostri PC capaci di fare più lavoro e più velocemente, un aspetto che per molti di noi vale il surplus del prezzo di acquisto.
Per dare un esempio di comparazione del costo di questi dispositivi rispetto ad un hard disk tradizionale, si può ad esempio acquistare un Hard Disk da 1 TB a 45€ ed un SSD delle stesse dimensioni a circa 150€; occorre però considerare che molto raramente si comprerà un SSD di quelle dimensioni, preferendo un taglio più piccolo, da 250 o 500 GB ad un prezzo che varia tra i 40 e i 70€, al fine di installare il solo sistema operativo e relativi programmi e lasciando ad un hdd secondario la funzione di memorizzare i dati.
Dischi con tecnologia NVMe (che sta sostituendo quella SATA) avevano invece costi salati. Oggi si sta assistendo, anche per questi dispositivi, ad una diminuzione repentina del costo di acquisto e non è raro vedere un dispositivo SATA ed uno NVMe di pari taglio venduto a pochi euro di differenza.

Conclusioni

Superati alcuni dei grandi pregiudizi sugli SSD, è il costo quello che sembra l’ostacolo maggiore. Ma anche questo aspetto sta forse per essere superato visto che, con la nuova tecnologia di celle a 4 bit, si riusciranno a creare chip molto densi con la stessa quantità di silicio e dunque SSD a basso costo mantenendo una buona qualità.
Il vecchio hard disk ha dunque le ore contate.
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